17 anni e come uscirne vivi. Il titolo del film di Kelly Fremon dice tutto. Dal 30 marzo al cinema.
Nadine è una diciassettenne che fin dall’infanzia subisce l’esclusione da parte dei suoi coetanei. Durante l’adolescenza vive il lutto di suo padre, che segna per sempre la chiusura del suo mondo agli altri. L’ancora di salvezza diventa la sua migliore amica Krista, ma questo equilibrio precario si distrugge presto, portando Nadine a desiderare la morte.
La domanda principale è nel titolo. Come uscirne vivi? Perché se ti metti in testa di voler girare un film che parla di una solitaria, acida e scontrosa teenager che vive nei propri complessi d’inferiorità, dove l’unica persona in grado di capirla crepa troppo presto, con una madre che proprio non è in grado di provare ad essere madre ed un fratello sempre perfetto in tutto e per tutto….insomma, devi come minimo chiederti come sia possibile uscire vivi da quel grosso e spinoso rovo chiamato “già visto” e “poco originale”.
Nonostante tutto, il film della Fremon ha una dignità propria, un suo perché. Sarà la sceneggiatura punzecchiante, una giostra d’ironia, perfidia e pessimismo. Sul personaggio protagonista montato come un burattino e messo in un teatro per marionette che abbiamo già visto migliaia di volte non c’è poi molto da dire: solitudine, scontri continui, fughe improvvise per far perdere le proprie tracce, se possibile, rispetto al mondo intero.
Personaggio decisamente più originale è lo strambo professore Bruner (interpretato da un eccezionale Woody Harrelson) che con la nostra Nadine instaura un rapporto non proprio convenzionale. Due anime perse, che dondolano sull’altalena dei propri pensieri. Mettere i piedi per terra e mettere i piedi sul mondo, e quindi incontrare gli altri. Ma stare sospesi in due può rivelarsi bizzarro. Continue scintille e frecciatine fumanti, quando entrambi si rendono conto del fatto che l’uno è esattamente lo specchio dell’altro. Ma il sarcastico professore, dalla sua, ha una moglie e figlio. Forse sta a Nadine capire che c’è un tempo anche per la conciliazione, che nonostante tutto c’è la necessità di una coesione con l’altro, per lo meno tra le mura della propria casa. Perché no, anche verso qualcuno che ripetutamente mostra interesse e affetto come il timido spasimante nerd che non si arrende.
Pescare la psicanalisi lacaniana per andare a spiegare la tipologia di rapporto tra madre e figlia sarebbe forse una masturbazione mentale, straordinaria, che il film non merita affatto. Basta dire che la madre in questione, dopo la morte del marito, si riscopre come donna che mette da parte il proprio essere madre. Una conflittualità che nasce da entrambe le parti, e che può dissolversi solo attraverso un terzo, una mediazione che qui prende il nome del fratello. Fulcro del crollo emotivo della giovane Nadine è il tradimento della sua migliore amica Krista che da inizio ad una relazione proprio con suo fratello. Ma questa è, palpabilmente, solo la goccia che fa traboccare il vaso.
Ironico, divertente e icastico a tratti. Una confezione che oscilla tra il banale e l’originale, tra il “che noia” e il “niente male”.