Il dramma di un lutto destabilizzante, di demolizioni culturali e personali. Il nuovo film di Jean Marc Vallée dal 15 settembre al cinema.
Davis Mitchell, dopo la perdita di sua moglie in un incidente stradale, vive in modo poco ortodosso l’esperienza del lutto. Scrive lettere indirizzate ad una compagnia di distributori automatici raccontando la sua vita, finché qualcuno, colpito dalle sue parole, deciderà di farsi sentire.
I vedovi piangono. Non vanno a lavoro. Hanno bisogno di tempo. Questo è tutto ciò che Davis proprio non riesce a fare dopo la morte di sua moglie. Difficile è sforzarsi per far cadere le lacrime che, seppure finte, possono aiutare in momenti tradizionalmente dolorosi ( per salvarsi dagli sguardi degli altri per lo meno). Al contrario, il personaggio dipinto da un incantevole Jake Gyllenhaal se la prende con quel distributore di snack guasto che gli consente di giungere ad una svolta, seppure apparente.
Vallée non è totalmente una garanzia al cinema, ma quasi. Inutile citare i suoi lavori più luminosi. Forse Demolition, l’ultima opera del regista canadese, può essere accusata d’eccentricità, un progetto a tratti pretenzioso che tuttavia non può assolutamente lasciare delusi (purché lo si prenda con le pinze). Vallée per certi versi va controcorrente, distrugge canoni e convenzioni, in particolare quelle legate al lutto, alla libertà dei sentimenti e alla verità.
Davis distrugge la sua casa, il suo futuro e se stesso. Ma demolisce per dimenticare o per ricordare d’essere vivo? Questo sembra essere il grande quesito del regista. A sottolineare il messaggio sembra utile il figlio di Karen, giovane ribelle in crisi rispetto alla propria identità sessuale, con la folgorante attitudine per la schiettezza. Una sagoma spenta sulla scena è Karen (Naomi Watts), quasi un semplice tramite, un ponte scritturato male che tuttavia permette la consequenzialità dei fatti.
E se da una parte ci prova a fare l’iconoclasta, Vallée sa di dover tornare sui suoi passi, sa di dover fare i conti con un primordiale e umano bisogno di sfogo. Forse per una volta avremmo preferito poco più coraggio. Di lacrime liberatorie ne abbiamo viste fin troppe. E se tirando le somme vogliamo rispondere alla domanda del regista, forse in ogni caso è sempre meglio demolire, demolire e demolire ( con le giuste precauzioni).