In un piccolo paese siciliano ai margini di un bosco, Giuseppe, un ragazzino di tredici anni , scompare. Luna, una compagna di classe innamorata di lui, non si rassegna alla sua misteriosa scomparsa. Si ribella al clima di omertà che la circonda pur di ritrovarlo. Luna discende in un mondo oscuro che ha come via d’accesso il fondo misterioso di un lago, e solo l’amore per lui le permetterà di tornare indietro.
Tanto e tanto importante è l’amore di Sicilian Ghost Story, direi quasi troppo. A tratti più che d’amore potremmo parlare d’ossessione. Luna segue il suo Giuseppe nei boschi, gli scrive lettere in cui rivela di sognare un mondo con lui, dove vive per lui senza badare al resto. A Luna, per farla breve, il mondo che abita non può bastare; solo i sogni fungono da scappatoie di salvataggio. Giuseppe non avrà il tempo di dirsi lusingato. Appena ricevuta la sua lettera verrà rapito dai nemici di suo padre, pentito e collaboratore di giustizia.
La tenacia con cui Luna cerca il suo amore perduto le procura non pochi problemi. Classico è nelle vicende di mafia ambientate nei piccoli paesi siciliani che tutti sappiano e nessuno dica nulla. Con l’amore di mezzo però si rischia tutto, anche il ricovero e il tentato suicidio.
Se Grassadonia e Piazza si fossero limitati al racconto d’ amore ed omertà, di mafia e gioventù, trame trite e ritrite nei film del mezzogiorno, qui non ci sarebbe nulla da discutere. I due registi hanno invece optato per una vena quasi fantasy, un oscillare onirico e spirituale che ha colmato i percorsi dei due protagonisti della vicenda. Luna si ribella, si tinge i capelli di blu elettrico e risponde a tono a sua madre, una glaciale presenza quasi estranea al nucleo familiare che si preoccupa per l’andamento scolastico di sua figlia. Ma Luna a scuola al massimo prende a sberle i compagni provocatori che siedono volutamente al posto lasciato vuoto da Giuseppe
Luna è altrove, un altrove in cui noi spettatori non possiamo davvero mettere piede. I due registi ci trascinano in una serie di sequenze de-localizzate, luoghi abitati dall’angoscia e dalla solitudine di un’ adolescente non proprio comune. Il film riesce a creare due linee distinte che di continuo si intrecciano tra loro, si aggrovigliano per depistarci, per lasciarci con un pugno di sabbia tra le mani. Se da una parte la crudeltà della prigionia di Giuseppe è “banalmente” cruda e reale, dall’altra i due ragazzini sognano e si sognano a vicenda, si cercano per poi trovarsi e perdersi ancora; incubi che diventano belli e poi tutto diviene ancora una volta oscuro.
Luna, che disegna a carboncini sulla parete della sua stanza quello che è il suo percorso interiore, che noi dobbiamo tenere ben presente, trova la via d’accesso per ricongiungersi al suo innamorato, un’oscura porta messa tra le radici degli alberi, oppure sul fondo di un lago. L’originalità di questa trama dei fratelli Grimm del tricolore sta nel sovrapporre immagini, far coincidere esteriore ed interiore in particolari minuscoli, veri e propri passaggi sotterranei che celano l’abisso del sentimento umano. Raggiungere il fondo del lago per Luna sarà solo un altro modo per manifestare la propria resa al mondo, nascondersi nei suoi sogni/incubi , tendendo alla morte. Sfiorire è ricongiungersi, lì dove le ombre che si spostano silenziosamente nelle illusioni della sognante cappuccetto rosso siciliana sono voci che echeggiano nell’ade.
Grassadonia e Piazza hanno mostrato non poco coraggio nel realizzare un crudo giallo adolescenziale che sfrutta la falsa riga investigatrice per parlare di ossessioni, malattie dell’anima e sogni. Il coraggio sta anche nel trascinare lo spettatore in due lunghissime ore, per un film che certamente poteva subire alcuni tagli senza perdere impatto e, soprattutto, senso.