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The O.A.: il paradosso del mentitore

#The O.A.: il paradosso del mentitore

The O.A., la nuova serie marchiata rosso fuoco da Netflix è lo straordinario vaso di pandora scoperchiato da Brit Marling e Zat Batmanglij, qualcosa che farà fatica ad uscire dalla testa degli spettatori.

Una donna cieca di nome Prairie Johnson, dopo sette anni dalla propria scomparsa, torna a casa dopo aver tentato il suicidio. Non più cieca, con numerose cicatrici sulla schiena ed un piano nella mente, raduna uno strano gruppo di uditori che dovrà aiutarla a salvare Homer, l’uomo che ama, ancora intrappolato da qualche parte.

Il cretese disse che tutti i cretesi sono bugiardi.

Nasce il paradosso, al reale viene la pelle d’oca e nero e bianco si annullano a vicenda.

Come gli stessi personaggi della serie, siamo trascinati in una soffitta ed ascoltiamo in silenzio una storia straordinaria di vita, morte e amore. The O. A. riesce a plasmare nella materia ogni idealizzazione, ingannando lo spettatore che vuole lasciarsi ingannare mentre, allo stesso tempo, vuota il sacco per chi in modo cerebrale si strappa di dosso le ali d’angelo a morsi.

La bellezza di The O. A. sta nella polivalenza del suo sunto. Quando scenderete dalla soffitta, di questo straordinario viaggio potrete pensare ciò che vorrete, come con il cretese. P.A. (Primo Angelo, o Più Avanti, variante che preferisco di gran lunga) sarete liberi di vederla come una psicotica o come baluardo mistico di una nuova dimensione. Potrete sorridere pensando d’essere stati ingannati abilmente o potrete librarvi nell’immensità dell’ignoto. La fantascientifica serie che ha saputo raccontarsi anche per mezzo d’una regia brillantemente cinematografica non ha svelato tutti i suoi altarini, inventando una speranza tutta nuova, per sognatori.

Non c’è bianco e nero, ma solo il grigio in tutte le variazioni possibili, un grigio che può comprendere solo chi si lascia incantare da un cantastorie. In definitiva, la serie scritta da Marling e Batmanglij è un grande preghiera d’amore che confida nella fantasia, nel racconto, nell’immaginazione che mette le mani sull’anima duttile. Il mondo parallelo è la grande tendenza odierna, e The O.A. guarda con non poca simpatia l’esempio di Stranger Things, per certi versi superando perfino la serie già culto nel suo mostrarsi già dal primo episodio tutt’altro che uno zoccolo vetriolo, un “pilot” che ha il coraggio di mostrare i titoli di testa ad episodio inoltrato, quasi al termine.

Le domande restano e sono tante. Dove è finita PA quando nell’ultima scena pronuncia il nome di Homer in quella stanza bianco latte? Mondo ultraterreno o una clinica di cura? Ha davvero previsto la catastrofe dell’ultimo episodio? La danza dai movimenti primordiali è qualcosa che salva davvero o si tratta di una semplice scatola vuota?

Come già anticipato possono coesistere entrambe le vie, sempre. I due scribacchini hanno articolato e preparato in modo accurato ogni svincolo, ogni dettaglio per vivificare qualsiasi tipo di spiegazione e non screditarne mai nessuna (vedi la scatola di Amazon, inquadrata a bella posta, con i libri che PA avrebbe ordinato per montare la sua storia). Reale e non occultano il proprio confine e non in modo banale, “quasi” scevro da ogni didascalismo. I punti interrogativi potrebbero essere risollevati da una probabile nuova stagione. Gli otto episodi di The O.A. hanno vita propria, vanno divorati in un doppio movimento dinamico in cui si da e si riceve in reciproco accordo, come un lungo film che potrebbe non avere necessità d’ulteriore spiegazione.

La verità del cretese forse non la vogliamo neanche sapere.

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