«Ti blocco perché mi interessi». Una frase che sembra un ossimoro, eppure ha scatenato un dibattito infuocato su TikTok, dividendo gli utenti in due schieramenti contrapposti. Da una parte chi sostiene che il blocco equivalga all’indifferenza totale, dall’altra chi lo interpreta come manifestazione estrema di coinvolgimento emotivo. Il paradosso non è solo semantico: secondo Igor Nogarotto, autore del libro “Bloccare o non bloccare questo è il problema”, l’88% di chi blocca il partner o l’ex mantiene ancora un legame emotivo con la persona che ha scelto di escludere digitalmente.
I numeri che ribaltano la narrazione del distacco
Gli studi condotti da Nogarotto e dal suo team rivelano che il 66% di chi blocca esprime in realtà interesse e desiderio di mantenere il rapporto. Solo il 12% elimina davvero ogni contatto perché non prova più nulla. Dietro il gesto del blocco si nascondono cinque tipologie principali: quello relativo (il più diffuso, 35%), che lascia aperti alcuni canali di comunicazione mentre ne chiude altri; il blocco da pingpong umorale (14%), caratterizzato da un continuo sbloccare e ribloccare dettato dall’instabilità emotiva; e poi quello protettivo, inverso e punitivo.
Strategie affettive nell’era dei social media
Il blocco relativo rappresenta la forma più ambigua: si elimina il contatto su WhatsApp e TikTok, ma non su Instagram, creando una finestra di osservazione reciproca. È un modo per lanciare segnali contraddittori, per dire “mi allontano” ma anche “ti sto ancora guardando”. Il fenomeno assume le caratteristiche di una vera e propria strategia di riconquista, quando non sfocia nella manipolazione emotiva. Bloccare diventa così un linguaggio cifrato, una nuova grammatica dei sentimenti che si articola attraverso i social network, dove ogni gesto acquista un peso simbolico amplificato dall’eco digitale.
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