Rimasta sola, lei alza gli occhi, guarda la luna senza vederla, abbassa lo sguardo, sospira, va via. Non è a testa nuda; e non piange. Non piange più. Ma il dolore e il dubbio sono un’ossessione che quelle poche parole non riescono a placare.
Incontrato è troppo: diciamo che l’ha visto. Lui non si è nemmeno accorto di lei. Camminava rapido, le è parso un gigante. Alto, altissimo e magro, ossuto quasi.
La luna è sempre con no, anche quando non si vede, perché ne abbiamo bisogno come del sole, perché è il rovescio della moneta, la scheggia di tenebra luminosa che portiamo conficcata nel cuore.
Intanto, il libro che Innes le ha dato le mozza il fiato, le toglie il sonno, le rapina il senso comune e le strizza dentro un nodo confuso di sensazioni. S’intitola Ponden Kirk e parla di un amore disperato e impossibile, di ingiustizie e fantasmi in una brughiera desolata che si getta nel mare.
Quando una cosa sai che c’è, è a portata di mano, esiste, ti è di conforto anche se non la tocchi; e la sola persona di cui sente sempre acuta la mancanza è dentro di lei, pronta a risponderle quando lei la chiama, presente alla maniera degli spiriti, di cui avverti la presenza solo quando ti metti in ascolto. Ma insomma, c’è qualcosa che manca; c’è qualcosa che non c’è.
A momenti Bianca si chiede se tutto questo reprimersi e nicchiare e tacere più che garbo e rispetto non esprima un’attitudine alla doppiezza che non ha niente di nobile e ha tutto di subdolo, attitudine del resto ben evidente nell’audacia segreta del suon piano. Dov’è che si deve smettere la sincerità per cedere il passo alla creanza? E fin dove, fin quando tacere e acconsentire è garbata cedevolezza e non bieco opportunismo?
Pensa, pensa, Bianca, e più pensa più le si oscurano i pensieri, e non ha nessuno a cui rovesciarli addosso, e così invece di disperdersi le si annodano dentro.
Il ricordo di quel giorno recente è vivido, e Bianca lo sfoglia, adesso, mettendo insieme un’altra volta i dettagli, facendo combaciare i pezzi con cura, provando e riprovando, come chi tenta di aggiustare una tazzina rotta. Quanto orrore le aveva fatto, quanto orrore torna a farle quell’asciutta rievocazione di un addio, per ciò che se ne comprende.
E sì, è un mondo pieno di ipotesi d’amore quello verso il quale corre Bianca stasera, scivolando sulle scale come se fosse sospesa a mezz’aria per calare verso l’atrio illuminato da centinai di candele: e poi rallenta, corre non sta bene, avanza passo passo, come se fossero già cominciate le danze.
Un romanzo dal sapore antico.
Un romanzo che ci parla dell’amore, della compassione, della solitudine, dei compromessi, della vita con tutte le sue sfaccettature.
Bianca, giovane e ingenua ragazza di buona educazione ma senza grossi entrate per mantenersi, va a servizio di un famoso poeta, lascia la casa natia, il lago di Garda per approdare nelle campagne milanesi.
La famiglia che l’accoglie, non le offrirà solo una ricompensa economica, le insegnerà le insidie della vita, i segreti che ogni famiglia ha, la compassione e la carità.
Bianca si confronterà con un mondo a lei finora sconosciuto. Si illuderà e come un’ancora arriverà qualcuno che la aiuterà a non essere sommersa da una situazione più grande di lei una situazione che l’avrebbe trascinata in fondo a una miseria certa.
Ma non è solo la storia di Bianca, non è solo la storia della famiglia che la ospita, è anche la storia di chi vive a contorno della famiglia di don Titta, la servitù, il vicinato, gli amici, i bambini abbandonati nel vicino orfanotrofio (a tal proposito molto interessante la ricerca che ne ha fatto l’Autrice e che minuziosamente ce ne parla).
Non mancheranno momenti di grande emozione e di tristezza.
Una bellissima lettura.
Tentativi di botanica degli affetti
di Beatrice Masini
Bompiani 2013 (pp 326)