L’alba a Colombo arriva senza fretta, tingendo il cielo di arancio mentre l’Oceano Indiano si sveglia con il suo respiro salato. Atterro in questa città che è porta e promessa, dove il traffico si mescola ai profumi di curry e frangipane. Non mi fermo. La strada mi chiama verso sud-ovest, dove la costa si apre in baie nascoste e templi che sfidano le onde.
Dove l’oceano incontra la fede
La prima tappa è Hikkaduwa, dove il mare si infrange contro le rocce con una forza che sembra antichissima. Qui i pescatori escono all’alba sui loro oruwa, le imbarcazioni tradizionali che scivolano sull’acqua come gabbiani. Mi fermo a osservare: le reti si sollevano cariche di vita argentata, mentre sulla spiaggia le donne preparano il pesce fresco che finirà nei piatti dei ristoranti affacciati sulla baia. L’acqua è così trasparente che anche dalla riva posso vedere le tartarughe marine muoversi pigre tra i coralli.
Proseguo verso Galle, la città fortificata che porta ancora i segni del dominio olandese. Le mura del XVII secolo abbracciano strade lastricate dove il tempo sembra essersi fermato. Cammino lungo i bastioni al tramonto, quando la luce radente trasforma la pietra in oro. Sotto di me, ragazzi si tuffano dalle scogliere mentre le onde si infrangono in spruzzi di schiuma bianca. All’interno del forte, tra case coloniali dipinte di pastello, incontro botteghe di artigiani che lavorano il legno e negozi di spezie dove l’aria è densa di cannella e cardamomo. La chiesa riformata olandese del 1755 si erge silenziosa, testimone di secoli di preghiere e speranze.
Nella tana del leopardo
Lascio la costa per addentrarmi verso il Parco Nazionale di Yala, dove la savana secca dello Sri Lanka si estende tra lagune salmastre e affioramenti rocciosi. Partiamo all’alba, quando l’aria è ancora fresca e gli animali si muovono alla ricerca di cibo. La jeep sobbalza su strade polverose mentre il sole emerge dall’orizzonte, dipingendo il cielo di rosa e viola.
Il primo avvistamento è un branco di elefanti asiatici che attraversa la strada con calma maestosa. Le madri proteggono i cuccioli, che si muovono goffi tra le loro zampe. Più avanti, cervi maculati sollevano la testa allarmati al nostro passaggio, pronti a scattare nella boscaglia. Ma ciò che cerchiamo è qualcosa di più elusivo.
Yala ha la densità di leopardi più alta al mondo e il nostro tracker lo sa. Osserva i segni: impronte fresche sulla polvere, rami spezzati, l’allarme dei cervi. Poi, su una roccia che emerge dalla vegetazione, lo vediamo. Un leopardo maschio dello Sri Lanka (Panthera pardus kotiya) riposa all’ombra, il suo mantello fulvo macchiato di rosette nere che si confonde perfettamente con la pietra. Ci osserva con occhi gialli, indifferente alla nostra presenza. I muscoli tesi sotto la pelliccia tradiscono la potenza del predatore. Rimaniamo immobili, trattenendo il respiro, mentre lui si stiracchia con la grazia tipica dei felini e poi, lentamente, si alza e scompare tra le acacie spinose.
La savana di Yala è punteggiata da lagune dove i coccodrilli prendono il sole e aironi cenerini pescano in acque immobili. Più di duecento specie di uccelli abitano questo ecosistema: pavoni selvatici che aprono le loro code iridescenti, martin pescatori che si tuffano nell’acqua con precisione millimetrica, aquile dalla testa grigia che scrutano la pianura dall’alto.
Il verde delle colline
Da Yala il viaggio prosegue verso l’interno, dove il paesaggio cambia radicalmente. La pianura lascia spazio alle colline della Hill Country, e con l’altitudine arriva un clima completamente diverso. A Ella, piccolo villaggio arrampicato tra le montagne, l’aria è fresca e profumata di eucalipto. Le piantagioni di tè si estendono a perdita d’occhio, disegnando geometrie perfette sui pendii.
Cammino tra i filari insieme alle raccoglitrici tamil, donne che si muovono veloci con i cesti sulle spalle, le dita esperte che selezionano solo le foglie giovani. Solo le prime tre foglie della pianta vengono raccolte, quelle più tenere che daranno il miglior tè. Mi spiegano che il lavoro inizia all’alba e continua per ore, con ogni raccoglitrice che può raccogliere fino a venti chili di foglie al giorno.
Visito la Uva Halpewatte Tea Factory, dove l’odore di tè fresco riempie l’aria. Le foglie attraversano un processo affascinante: prima vengono lasciate appassire su lunghi tavoli, poi arrotolate in macchine che ne liberano gli oli essenziali, quindi ossidate e infine essiccate. È un’alchimia antica che trasforma foglie verdi in tè nero, verde o bianco a seconda del processo. Il tè bianco, il più pregiato, viene prodotto solo dalle gemme all’apice del fusto e costa molto di più degli altri.
Il viaggio in treno da Ella a Nuwara Eliya è considerato uno dei più belli al mondo. Seduto con le gambe a penzoloni dalla porta aperta della carrozza, osservo lo spettacolo che si svolge davanti a me: valli profonde, cascate che precipitano dalla roccia, ponti coloniali che attraversano gole vertiginose. Le piantagioni di tè si susseguono senza sosta, un mare verde smeraldo che brilla sotto il sole.
Nuwara Eliya è chiamata la “Piccola Inghilterra” per una ragione. Qui, a quasi duemila metri di altitudine, i coloni britannici hanno ricreato un pezzo di patria: case in mattoni rossi, giardini all’inglese, campi da golf e persino un ippodromo. La temperatura può scendere fino a dieci gradi la sera, e per la prima volta da quando sono arrivato in Sri Lanka ho bisogno di una giacca. Le strade sono fiancheggiate da fabbriche di tè coloniali come la Damro Tea e la Pedro Tea Factory, dove è possibile assistere alla lavorazione e degustare varietà diverse.
Nel tempio del dente sacro
Scendo verso Kandy, l’ultima capitale del regno singalese prima della colonizzazione. La città si adagia attorno a un lago artificiale creato dal re nel XIX secolo, con le colline coperte di foresta pluviale che la circondano come un abbraccio verde. Al centro di tutto si erge il Sri Dalada Maligawa, il Tempio del Dente Sacro.
Entro scalzo, come richiede il rispetto per il luogo santo. L’aria è densa di incenso e il suono dei tamburi kandyani riempie le sale. Fedeli vestiti di bianco portano offerte di fiori di loto e pregano davanti alle statue dorate del Buddha. Il dente sacro, secondo la leggenda, fu salvato dalla pira funeraria del Buddha nel VI secolo a.C. e portato in Sri Lanka nascosto nei capelli di una principessa. Chi possiede la reliquia possiede il potere di governare il paese, diceva la tradizione, ed è per questo che i re singalesi la custodivano gelosamente.
Il dente è conservato in una serie di sette scrigni d’oro a forma di dagoba, uno dentro l’altro come matrioske, custoditi in una stanza sorvegliata giorno e notte. Non è possibile vederlo, ma tre volte al giorno i monaci dei monasteri di Malwatte e Asgiriya celebrano il puja, la cerimonia di offerta, aprendo le porte della camera interna. La folla si accalca per avere una visuale, le mani giunte in preghiera, mentre i sacerdoti recitano i sutra.
L’atmosfera è elettrica e serena allo stesso tempo. Bambini corrono tra le colonne mentre anziani rimangono immobili in meditazione. Turisti e pellegrini si mescolano in un flusso continuo di devozione e curiosità. All’esterno, elefanti del tempio aspettano pazienti, decorati con tessuti ricamati, pronti per le processioni cerimoniali.
Nelle grotte dipinte
A pochi chilometri da Kandy, tra le montagne, si trova Dambulla, un complesso di templi rupestri scavati nella roccia viva. Salgo la ripida scalinata che porta all’ingresso, superando i macachi che osservano incuriositi. L’entrata alle cinque grotte si apre su un panorama che abbraccia la pianura fino all’orizzonte.
All’interno, l’oscurità lascia spazio a una visione straordinaria. Le pareti e i soffitti sono completamente ricoperti di affreschi che raccontano la vita del Buddha: la nascita, l’illuminazione sotto l’albero della Bodhi, il primo sermone, il parinirvana. I colori, incredibilmente preservati, risalgono a secoli fa. Centocinquantatré statue del Buddha in diverse posizioni riempiono le grotte: seduto in meditazione, disteso nel momento del passaggio al nirvana, in piedi con la mano alzata in gesto di protezione.
La Grotta del Grande Re è la più impressionante: un Buddha disteso lungo quindici metri domina lo spazio, mentre alle pareti i re singalesi rendono omaggio al Maestro. La luce filtra dalle aperture naturali, creando giochi d’ombra che danno vita alle figure dipinte. L’aria profuma di incenso e fiori appassiti, lasciati dai fedeli che continuano a visitare questo luogo sacro dopo più di duemila anni.
Verso le acque cristalline
Il viaggio prosegue verso nord-est, fino a Trincomalee, dove la costa cambia di nuovo aspetto. Qui l’Oceano Indiano si fa più selvaggio, le spiagge sono meno affollate e l’acqua assume tonalità di turchese impossibile. Nilaveli Beach si estende per chilometri, sabbia bianca finissima bordata da palme che si piegano verso il mare.
Prendo una barca per Pigeon Island, riserva naturale a pochi chilometri dalla costa. Indosso maschera e boccaglio e mi immergo in un mondo sommerso di vita. I coralli formano giardini sottomarini dove pesci pappagallo, pesci angelo e barracuda nuotano indisturbati. Le tartarughe marine verdi scivolano eleganti tra le gorgonie, sollevando la testa per respirare prima di tuffarsi di nuovo.
L’isola prende il nome dai piccioni migratori che nidificano tra le rocce, ma è il mare il vero protagonista. Le acque sono così limpide che dal battello posso vedere il fondale a dieci metri di profondità. Trascorro ore a galleggiare, osservando questo ecosistema fragile e meraviglioso, consapevole di essere ospite temporaneo in un equilibrio che esiste da millenni.
Rituali e ritorni
Torno a Colombo per l’ultimo giorno, attraversando paesaggi che ora mi sono familiari: risaie dove gli aironi camminano tra le piantine, villaggi con i loro dagoba bianchi, mercati dove le spezie si accumulano in piramidi colorate. La città mi accoglie con il suo caos vivace, il traffico che sembra un organismo vivo, i venditori ambulanti che propongono kottu roti fumante.
Cammino sul lungomare di Galle Face Green al tramonto, mentre famiglie fanno volare gli aquiloni e venditori di street food preparano isso wade, frittelle di gamberi croccanti. Il mare si tinge di viola e oro, le onde si infrangono contro il muro di contenimento con uno spruzzo di schiuma. Bambini corrono scalzi sulla sabbia, anziani siedono sulle panchine a osservare l’orizzonte.
Sri Lanka mi ha mostrato molte facce: la fede che permea ogni aspetto della vita quotidiana, la natura selvaggia che convive con l’uomo, la storia stratificata in templi e fortezze, le piantagioni che hanno plasmato l’economia e il paesaggio. Ma soprattutto, ho sentito il respiro dell’isola, lento e profondo come quello dell’oceano che la circonda. Un ritmo antico che continua, indifferente al passare del tempo, mentre i monaci camminano scalzi tra i villaggi all’alba e le donne tamil raccolgono tè tra le colline.
Ho attraversato un continente condensato in un’isola, dove ogni curva della strada rivela un mondo nuovo. E ora, mentre l’aereo si solleva dalla pista, osservo le luci di Colombo che si allontanano e capisco che lascio una parte di me tra quelle colline verdi, quelle spiagge dorate, quei templi dove il silenzio parla più forte delle parole.
Appassionato di scoperta e avventura, racconto i sentieri meno battuti del mondo, dove la natura e le tradizioni si svelano in modo autentico e sorprendente. Amo esplorare percorsi nascosti, lontani dalle rotte turistiche, per cogliere l’essenza vera di ogni luogo e condividere storie di paesaggi incontaminati, culture sconosciute e incontri autentici. Con uno stile narrativo coinvolgente, porto i lettori in un viaggio intimo e ricco di emozioni, dove il silenzio dei sentieri permette di riscoprire sé stessi e il mondo che ci circonda. Per me, ogni cammino è un’esperienza di scoperta, un invito a svelare le meraviglie sconosciute e a vivere avventure uniche, lontano dal caos e vicino alla natura.

