Nelle sale di Palazzo Reale si respira un’atmosfera sospesa. Dal 22 luglio, la prima grande mostra personale di Valerio Berruti trasforma gli spazi milanesi in un territorio inesplorato, dove l’infanzia non è solo ricordo ma profezia. “More than Kids” – questo il titolo dell’esposizione – svela immediatamente la sua ambizione: andare oltre la superficie, scavare nell’anima collettiva attraverso volti che sembrano incompleti eppure dicono tutto.
L’artista albese, già protagonista della Biennale di Venezia del 2009 quando aveva appena trent’anni, ha costruito negli anni un linguaggio riconoscibile che mescola l’antica tecnica dell’affresco con installazioni monumentali capaci di coinvolgere fisicamente lo spettatore. Non si tratta di opere da contemplare passivamente: qui bisogna muoversi, attraversare, abitare gli spazi.
Il peso della bellezza fragile
Entrando in “A safe place”, il visitatore si ritrova catapultato in una dimensione acquatica dove una bambina galleggia aggrappata a un salvagente. La passerella sospesa nell’oscurità della sala costringe a un percorso obbligato, mentre la mente vacilla tra due immagini: il gioco spensierato delle vacanze estive e la tragedia delle migrazioni nel Mediterraneo.
Berruti non predica, non giudica. Semplicemente mescola le acque – come recita il comunicato della mostra – costringendo chi osserva a confrontarsi con il caso fortuito che ci ha fatto nascere dalla parte giusta del mondo. La colonna sonora di Lucio Disarò, collaboratore ventennale dell’artista, amplifica il senso di straniamento.
La giostra che non gira più
Il momento più intenso dell’esposizione arriva con “La Giostra di Nina”, opera già esposta al MAXXI e alla Reggia di Venaria. Qui Berruti sostituisce i cavalli tradizionali con passerotti, quasi a volerci dire che persino nei giochi limitiamo la fantasia cercando di attenerci alla realtà. L’installazione, accompagnata dalla musica di Ludovico Einaudi, diventa metafora di libertà: gli uccellini sono scappati, si sono liberati, decideranno loro se e quando tornare.
Ma c’è un paradosso inquietante in questa libertà apparente. La giostra ferma parla di sogni interrotti, di un’infanzia che attende di essere completata da chi guarda. Sarà il pubblico a decidere se salire, se lasciarsi trasportare in un volo immaginario o restare con i piedi per terra.
L’urgenza del presente
L’artista non si limita a evocare nostalgie. Nella monumentale “Don’t let me be wrong”, una scultura di sette metri che domina il cortile di Palazzo Reale, una bambina guarda verso l’alto come se stesse assistendo all’arrivo di una tempesta. All’interno del busto, un cortometraggio inedito con la colonna sonora di Daddy G dei Massive Attack racconta un futuro che potrebbe essere già presente.
Il cambiamento climatico diventa protagonista assoluto in “Nel silenzio”, dove tre figure infantili riposano sulla terra arsa, come in un ritrovamento archeologico del futuro. Un richiamo ai calchi di Pompei che inquieta per la sua attualità: morirono solo quelli che non vollero scappare, che rifiutarono di credere all’imminente eruzione.
Le maschere che indossiamo
In “Three (parts of) me”, tre volti della stessa bambina con acconciature diverse evocano la tradizione giapponese delle maschere: il volto pubblico, quello privato e quello segreto che non mostriamo mai a nessuno. L’installazione va vista girando intorno, obbligando il visitatore a un confronto con le proprie identità nascoste.
Ogni opera di Berruti funziona come uno specchio deformante che restituisce verità scomode. I 42 bambini di “Nel nome del Padre” – numero che richiama la risposta alla domanda fondamentale dell’universo nei romanzi di Douglas Adams – guardano tutti nella stessa direzione, rappresentando i conflitti in corso nel mondo. Chi stanno fissando? Forse un’umanità ormai indifferente alle guerre quotidiane.
L’arte come resistenza
Nicolas Ballario, curatore della mostra, definisce Berruti un regista che “stanza dopo stanza tocca tutti i grandi temi della contemporaneità”. Le sue figure non sono mai finite perché è il visitatore a decidere destino e provenienza dei soggetti. Una responsabilità che pesa: chi distoglie lo sguardo diventa complice.
L’esposizione, prodotta dal Comune di Milano e Arthemisia con il sostegno della Fondazione Ferrero, rappresenta il secondo atto di un trittico che ha iniziato ad Alba e si concluderà nuovamente nella città natale dell’artista. Un percorso che dimostra come l’arte contemporanea possa parlare a tutti, senza distinzioni di età o cultura.
Fino al 2 novembre, Palazzo Reale diventa così teatro di una riflessione necessaria: siamo ancora in tempo per cambiare le cose? L’infanzia che Berruti ci restituisce non è un paradiso perduto ma una possibilità ancora aperta, un territorio dove tutto può ancora succedere. A patto di avere il coraggio di guardarsi davvero.
Direttore editoriale di nonewsmagazine.com | Il magazine dell’ozio e della serendipità.
Direttore responsabile di No News | La free press dell’ozio milanese.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare agli amori sofferti tra le campagne inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo, c’è chi lo chiama “il fondamentalista del Loggione”. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita, tuttavia, rimane la Tosca.