C’è un filo invisibile che lega Dallas, Texas, e Milano. Un filo fatto di pelle invecchiata, suole color crema e una piccola bandiera americana cucita sulla tomaia. È la storia di Autry, marchio di sneakers che negli anni Ottanta conquistò i campi da tennis americani e che oggi, dopo un lungo sonno, si è risvegliato nelle strade d’Europa con l’energia di chi ha ancora molto da dire.
La rinascita texana con anima italiana
Il marchio nacque nel 1982 a Dallas, fondato da Jim Autry, un imprenditore che credeva nel potere della semplicità. Le sue scarpe da tennis, running e basket conquistarono subito l’attenzione: nel 1985 la rivista Tennis Magazine le definì le migliori sneakers del settore, mentre il modello Medalist divenne un simbolo dell’epoca. La collaborazione con il tennista Bob Lutz, vincitore di 54 titoli in carriera, consolidò la reputazione del brand.
Poi arrivò il silenzio. Come molti marchi sportivi degli anni Ottanta, Autry scomparve nell’ombra dei giganti come Nike e Adidas. Per vent’anni, quelle sneakers bianche con la bandiera restarono chiuse negli archivi della memoria collettiva.
Quando l’Italia incontra il vintage
Nel 2019 tre imprenditori italiani – Marco Doro, Alberto Raengo e Gino Zarrelli – decisero di riportare in vita il marchio, ribattezzandolo Autry Action People. La loro intuizione fu semplice quanto efficace: in un mondo saturo di loghi gridati, il minimalismo vintage poteva diventare un valore. Non cambiarono l’essenza delle scarpe, ma le arricchirono con materiali pregiati come pelle di agnello e nabuk, mantenendo quella patina nostalgica che le rende riconoscibili.
In cinque anni il fatturato passò da 3,8 milioni a 114 milioni di euro, un’ascesa che attirò l’attenzione di Roberta Benaglia, figura chiave del private equity italiano nel settore moda. Benaglia, già artefice del successo di Golden Goose, riconobbe in Autry lo stesso potenziale: quello di un marchio capace di parlare a una generazione che cerca autenticità senza ostentazione.
Nel marzo 2024 Style Capital acquisì il 51% di Autry, valutando l’azienda circa 300 milioni di euro. L’obiettivo dichiarato è ambizioso: portare il fatturato oltre i 300 milioni di euro nei prossimi tre anni.
Il ritorno a casa: Milano come manifesto
Dopo aver aperto boutique a Londra e Parigi, Autry ha scelto Milano per il suo primo flagship italiano. Lo store di 193 metri quadrati si trova in via Durini, a pochi passi da piazza San Babila, nel cuore pulsante dello shopping milanese. La scelta del capoluogo lombardo non è casuale: Milano rappresenta l’epicentro del lusso accessibile, quel segmento dove qualità e prezzo dialogano senza urlare.
L’interior design dello store riflette questa filosofia: arredi in legno naturale di noce, superfici in granito e dettagli in acciaio creano un’atmosfera industrial-chic. Le cinque ampie vetrine affacciate sulla piazza fungono da vetrina metropolitana, dove passanti e appassionati possono sbirciare l’universo Autry.
Per celebrare l’apertura, il brand presenta una capsule collection in edizione limitata, disponibile solo nel flagship milanese. L’Europa oggi rappresenta l’80% del fatturato di Autry, con l’Italia che pesa per il 25%, confermando che il mercato domestico ha accolto con entusiasmo questo ritorno.
Il fascino discreto del vintage moderno
Cosa rende Autry così speciale nel panorama affollato delle sneakers? La risposta sta nella discrezione studiata. A differenza di altri marchi che puntano su collaborazioni rumorose e drop limitatissimi, Autry gioca la carta dell’understatement. Il modello Medalist, con la sua silhouette pulita e la suola leggermente ingiallita, evoca i ricordi sportivi degli anni Ottanta senza scadere nella nostalgia fine a se stessa.
Il prezzo, tra 165 e 260 euro, colloca il brand nel segmento premium, conferendo un’aura di esclusività senza alienare il cliente. Come sottolinea una collezionista berlinese nota come “Sneakerqueen”, questo posizionamento trasmette l’idea di qualità superiore senza necessità di esibizione.
La strategia distributiva segue la stessa filosofia: boutique selezionate, department store premium come La Rinascente e Galeries Lafayette, collaborazioni mirate. La produzione avviene in Indonesia, mentre il quartier generale operativo è a Dolo, in provincia di Venezia, mantenendo il legame con il saper fare italiano.
Uno sguardo al futuro
L’espansione retail di Autry non si ferma all’Europa. I prossimi mercati nel mirino sono America e Asia, con particolare attenzione a Giappone e Corea del Sud, due paesi dove l’estetica vintage americana gode di un culto quasi religioso.
Roberta Benaglia ha le idee chiare: “L’apertura a Milano non è solo un traguardo retail, ma un risultato profondamente emotivo. Per me, Milano è casa”. Le sue parole tracciano una visione dove il business si intreccia con l’identità culturale, dove crescere non significa tradire le radici ma amplificarle.
In un mercato della moda sempre più polarizzato tra lusso inaccessibile e fast fashion usa e getta, Autry si inserisce in quella zona intermedia dove qualità, storia e prezzo convivono. La scommessa è che i consumatori, stanchi di loghi sovradimensionati e prezzi gonfiati, cerchino qualcosa di diverso: scarpe che raccontino storie vere, che durino nel tempo, che invecchino bene.
La bandiera americana cucita sulla tomaia di ogni paio di Autry non è solo un dettaglio estetico. È un simbolo di quel sogno americano anni Ottanta, filtrato attraverso la sensibilità europea contemporanea. Un ponte tra continenti, generazioni e visioni del mondo che si materializza in pelle e gomma.
Milano ha accolto Autry. Ora tocca al resto del mondo decidere se credere ancora nelle seconde possibilità.
Direttore editoriale di nonewsmagazine.com | Il magazine dell’ozio e della serendipità.
Direttore responsabile di No News | La free press dell’ozio milanese.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare agli amori sofferti tra le campagne inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo, c’è chi lo chiama “il fondamentalista del Loggione”. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita, tuttavia, rimane la Tosca.