A 1420 metri di altitudine, dove l’aria si fa rarefatta e il vento di tramontana soffia impetuoso tra le cime dei Monti della Laga, sorge Campotosto. Questo minuscolo borgo abruzzese, con appena 500 abitanti, custodisce un tesoro gastronomico che affonda le radici in tempi lontani. Qui, dove il lago artificiale più grande d’Abruzzo riflette il profilo del Gran Sasso, la tradizione della lavorazione del maiale si tramanda da generazioni, dando vita a un salume unico nel panorama italiano: la mortadella di Campotosto.
Non aspettatevi la classica mortadella rosa che siamo abituati a vedere nelle salumerie. Questo prodotto è completamente diverso. La tradizione di questo salume è molto antica, si ritiene abbia più di 500 anni, e la sua peculiarità risiede tanto nella forma quanto nella lavorazione. Ovoidale, piccola, dal colore rosso intenso all’interno, viene ancora prodotta rigorosamente a mano da pochissimi artigiani che hanno ereditato il segreto delle famiglie contadine.
Il nome popolare che racconta una storia
Nel dialetto locale e tra i mercanti romani, questa mortadella è conosciuta con un appellativo che strappa sempre un sorriso: “coglioni di mulo”. La forma ovoidale e la particolarità di essere vendute a coppia, legate insieme da uno spago annodato a mano, hanno ispirato questa denominazione vernacolare che, lungi dall’essere volgare, rappresenta il linguaggio genuino e diretto della cultura contadina. Documenti storici accertano la produzione di questa tipologia di salume nella zona di Campotosto fin dal 1796, anche se la tradizione orale fa risalire la ricetta a epoche ancora più remote, forse al Medioevo.
L’arte della lavorazione manuale
La produzione della mortadella di Campotosto è un rito artigianale che richiede manualità, esperienza e pazienza. Si prepara tritando tagli magri e scelti del suino cui si aggiungono pancetta macinata, sale, pepe e una miscela segreta di spezie. La proporzione prevede un 80% di carne magra e un 20% di pancetta, utilizzando collo, spalla, coscia, lombo. Ma l’elemento che rende inconfondibile questo salume è il lardello centrale: nell’impasto è inserito un lardello lungo una decina di centimetri, una barretta di lardo posta longitudinalmente che attraversa interamente il salume.
L’insaccatura avviene rigorosamente a mano. Il budello naturale, chiamato “torta”, viene preparato con cura, gonfiato, tagliato longitudinalmente e lavato accuratamente prima di avvolgere l’impasto. Nella parte inferiore del salame viene posto un tralcetto che serve a stringere lo spago durante la stagionatura, un dettaglio tecnico che permette di far aderire perfettamente l’involucro alla carne mentre questa si asciuga. Le mortadelle vengono quindi legate a coppia con uno spago annodato a mano e appese su pertiche di legno.
Il matrimonio perfetto tra fumo e tramontana
La fase più delicata è la stagionatura, un processo che dura circa tre mesi e che sfrutta le particolari condizioni climatiche del territorio. Appena confezionate, le mortadelle sono appese a una pertica ed esposte per circa 15 giorni al fumo di un camino alimentato con legna di quercia o di faggio. Questa affumicatura naturale conferisce al salume quelle note aromatiche che lo caratterizzano.
Successivamente inizia la vera stagionatura all’aria aperta. Il clima della zona, con le catene montuose che si estendono tutt’intorno, il vicino lago e l’orografia del territorio, attribuisce all’area particolarità climatiche che offrono i fattori ideali per la fase di stagionatura, caratterizzate da venti freddi di tramontana. È proprio questo microclima unico, con temperature rigide e un’umidità costante garantita dall’altitudine e dalla presenza del lago, a permettere l’essiccamento ottimale. Sono poi trasferite in locali di stagionatura naturale: il vento di tramontana e l’altitudine garantiscono una temperatura e un’umidità ideali.
Un assaggio che vale un viaggio
Quando la mortadella è pronta, dopo tre mesi di attesa, si presenta con una superficie esterna di colore bruno, leggermente untuosa al tatto. Al taglio, però, rivela tutta la sua bellezza: la fettina è di colore rosso intenso, scuro, con il lardello bianchissimo. La consistenza è compatta, quasi cuoiosa, ma non dura. Al palato emerge un equilibrio perfetto di sapori: la carne rivela note delicate con una leggera sfumatura affumicata, mentre il lardello centrale sorprende per la sua dolcezza e la sua consistenza croccante che contrasta piacevolmente con la parte magra.
Il peso finale di ogni mortadella si aggira tra i 210 e i 250 grammi, dimensioni che permettono la lavorazione completamente manuale. Qualsiasi prodotto più grande sarebbe impossibile da realizzare con le tecniche tradizionali, ed è proprio questo uno dei modi per riconoscere le autentiche mortadelle dalle numerose imitazioni industriali che hanno invaso il mercato.
La tutela di un presidio Slow Food
La rarità e l’unicità di questo prodotto hanno spinto alla creazione di forme di tutela. La Mortadella di Campotosto rientra nei Presidi Slow Food dell’Abruzzo e fa parte dei Prodotti agroalimentari tradizionali abruzzesi. Nel 2008 è stata costituita l’Associazione Produttori della Mortadella di Campotosto, che ha voluto dotarsi di un preciso disciplinare per ogni fase di lavorazione. Solo due produttori sono attualmente riconosciuti dal Presidio Slow Food, e tra questi spicca il nome di Nonna Ina, l’azienda fondata nel 2002 che ha contribuito a far conoscere questo salume anche fuori dai confini regionali.
La produzione rimane volutamente limitata, in numeri piccoli, per preservare la qualità e l’autenticità. Solo pochi campotostari continuano la tradizione della mortadella, e solo pochi palati hanno oggi la possibilità di degustarla, causa la rarità del prodotto. Non è un caso: la mortadella di Campotosto non può e non deve diventare un prodotto di massa. La sua anima è nell’artigianalità, nella lentezza della produzione, nel rispetto di gesti tramandati da secoli.
Come riconoscere l’originale
Sul mercato proliferano le imitazioni, spesso prodotte industrialmente e vendute a prezzi inferiori. Ma esistono alcuni elementi distintivi che permettono di riconoscere l’autentica mortadella di Campotosto. Innanzitutto il peso: un salume autentico ha un peso massimo di circa 250 grammi, perché dimensioni superiori renderebbero impossibile la lavorazione manuale. Le originali presentano una leggera muffa bianca sulla superficie esterna, segno di una stagionatura naturale, mentre nelle imitazioni si trova spesso semplice fecola di patate. Il budello deve essere naturale, non artificiale, e deve essere presente il caratteristico tralcetto di legno nella parte inferiore.
La tavola e i suoi abbinamenti
La mortadella di Campotosto si gusta tagliata a fette non troppo sottili, per apprezzare la consistenza e la texture particolari. È perfetta come antipasto, magari accompagnata da pane casereccio fatto con farine locali, formaggi pecorini stagionati della zona e un buon calice di Montepulciano d’Abruzzo. Il vino rosso del territorio, corposo e strutturato, si sposa magnificamente con le note speziate e leggermente affumicate del salume.
C’è chi la utilizza anche come ingrediente in preparazioni più elaborate, ma gli intenditori preferiscono gustarla nella sua purezza, per non coprire quel sapore unico che il tempo, il vento e le mani sapienti degli artigiani hanno saputo creare. Ogni fetta racconta la storia di un territorio aspro e generoso, di una comunità che ha saputo trasformare la necessità in arte.
Un patrimonio da preservare
Visitare Campotosto significa immergersi in un mondo sospeso nel tempo, dove il ritmo della vita segue ancora le stagioni e le tradizioni contadine. Il lago, creato negli anni Trenta per la produzione di energia idroelettrica, offre oggi uno scenario mozzafiato, specialmente quando d’inverno si ghiaccia completamente. Ma è l’incontro con i produttori di mortadella a regalare l’emozione più autentica: vedere le mani esperte che modellano l’impasto, che legano con precisione millimetrica le coppie di salumi, che controllano la stagionatura con uno sguardo che vale più di qualsiasi strumento.
La mortadella di Campotosto non è solo un prodotto alimentare: è memoria vivente, identità culturale, testimonianza di un modo di produrre che resiste alla standardizzazione. In un’epoca che corre sempre più veloce, questo piccolo borgo abruzzese ci ricorda che esistono ancora sapori che non possono essere replicati, tradizioni che meritano di essere preservate, storie che vale la pena continuare a raccontare. E a gustare.
Direttore editoriale di nonewsmagazine.com | Il magazine dell’ozio e della serendipità.
Direttore responsabile di No News | La free press dell’ozio milanese.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare agli amori sofferti tra le campagne inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo, c’è chi lo chiama “il fondamentalista del Loggione”. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita, tuttavia, rimane la Tosca.


