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Tre Bicchieri 2026: i 16 migliori vini dell’Emilia-Romagna premiati dal Gambero Rosso

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Per la prima volta nella storia della prestigiosa Guida Vini d’Italia, l’Emilia-Romagna si presenta divisa. Non si tratta di una scissione amministrativa, ma di un riconoscimento vinicolo che il Gambero Rosso ha scelto di celebrare nell’edizione 2026: due territori, due identità, due anime enologiche così distinte da meritare narrazioni separate. Da un lato l’Emilia, con i suoi Lambruschi che danzano nelle bollicine e i Metodi Classici che sfidano le bollicine più blasonate d’Italia. Dall’altro la Romagna, dove il Sangiovese ha compiuto una rivoluzione silenziosa e l’Albana si trasforma in un’attrice dalla personalità cangiante.

I sedici vini insigniti dei Tre Bicchieri 2026 sono molto più di un elenco di etichette eccellenti: rappresentano la cartografia emotiva di colline che profumano di mosto, cantine dove la tradizione dialoga con l’innovazione, produttori che hanno scelto di raccontare il proprio territorio senza scorciatoie né imitazioni.

Il trionfo dei Lambruschi: quando le bollicine emiliane conquistano l’eccellenza

Dalla pianura modenese e reggiana arriva il grido di vittoria più fragoroso: ben sei Lambruschi hanno conquistato il massimo riconoscimento, una celebrazione che certifica la maturità raggiunta da questi vini che troppo a lungo sono stati considerati minori. Il Lambrusco di Sorbara Piria 2024 di Alberto Paltrinieri e il Lambrusco di Sorbara Vigna del Cristo 2024 di Cavicchioli dimostrano come l’eleganza possa convivere con la freschezza sboccata di questo vitigno. Il Sorbara, il più aristocratico tra i Lambruschi, regala profumi delicati e una bevibilità che sembra non avere fine.

Ma è il Grasparossa di Castelvetro a mostrare i muscoli della categoria: tre etichette premiate che esplorano la carnosità e la struttura di questa varietà. Il Semprebon 2024 della Fattoria Moretto nella versione amabile, la Vigna Cialdini 2024 di Cleto Chiarli Tenute Agricole e i Vini del Re 2024 della Cantina Settecani raccontano un rosso vibrante, intenso, capace di accompagnare la cucina grassa emiliana con una verve indomabile. Il Reggiano Lambrusco Concerto 2024 di Medici Ermete completa questo affresco spumeggiante, dimostrando come anche i blend possano raggiungere vertici di complessità.

Non è più il tempo dei Lambruschi dolciastri serviti nelle trattorie turistiche. Questi vini parlano di Metodo Ancestrale e Metodo Classico, di rifermentazioni controllate, di purezza varietale che esalta il territorio. Ogni sorso è un viaggio tra Modena e Reggio Emilia, dove le vigne si stendono come tappeti verdi e la nebbia padana avvolge i filari in abbracci mattutini.

Il Metodo Classico emiliano: le bollicine che guardano a Champagne senza inchinarsi

Quattro Metodi Classici tra i Tre Bicchieri dimostrano che l’Emilia non ha bisogno di guardare alla Francia con reverenza: ha trovato la propria voce nelle bollicine. L’Arvange Pas Dosé M. Cl. 2020 di Valtidone dai Colli Piacentini, il Brut Rosé M. Cl. Cuvée di Francesco Bellei, Il Pigro Dosaggio Zero M. Cl. 2022 delle Cantine Romagnoli e il Lambrusco di Sorbara Brut Rosé M. Cl. 2020 della Cantina della Volta sono testimonianze di un movimento che sta conquistando spazio e credibilità.

La scelta del dosaggio zero e del pas dosé non è casuale: questi produttori vogliono mostrare la purezza del territorio senza mascheramenti zuccherini, lasciando che siano le uve – pinot nero, chardonnay o lo stesso Lambrusco – a cantare la loro canzone. Le lunghe permanenze sui lieviti, le vendemmie manuali, la pazienza nell’attendere che il tempo faccia il suo lavoro: tutto parla di una filosofia produttiva che guarda all’eccellenza senza compromessi.

I Colli Piacentini, in particolare, stanno emergendo come territorio vocato per questi spumanti, nonostante una certa confusione sugli obiettivi da perseguire. L’attesa della nuova Doc Piacenza e il progetto di una Doc Emilia specifica per il Metodo Classico suggeriscono che il meglio deve ancora arrivare.

La rivoluzione silenziosa del Sangiovese romagnolo

Quattro Romagna Sangiovese hanno conquistato i Tre Bicchieri, e ciascuno racconta una storia diversa di questo vitigno che ha saputo liberarsi dalle catene dell’imitazione toscana. Il Romagna Sangiovese Bertinoro Riserva Bron & Rusèval 2021 di Celli, il Romagna Sangiovese Modigliana Vigna Probi Riserva 2022 di Villa Papiano, il Romagna Sangiovese Predappio Godenza 2023 di Noelia Ricci e il Romagna Sangiovese Predappio Le Lucciole Riserva 2022 di Chiara Condello sono vini che brillano di luce propria.

La creazione di sedici sottozone all’interno della denominazione Romagna Sangiovese ha rappresentato una svolta epocale: finalmente questo rosso può raccontare le differenze tra Bertinoro e Predappio, tra Modigliana e le altre colline che si arrampicano verso l’Appennino. Non più un Sangiovese generico, ma vini territoriali, originali, capaci di esprimere eleganza e finezza senza rinunciare alla bevibilità.

Nel bicchiere si ritrovano vini luminosi, mai troppo estrattivi, che privilegiano la freschezza al tannino aggressivo, il frutto alla concentrazione forzata. Sono Sangiovesi che si possono bere, non solo contemplare, e che accompagnano con naturalezza la cucina romagnola senza sopraffarla.

L’Albana regina: la versatilità di un’autoctona indomabile

Due Romagna Albana completano il quadro dei sedici premiati: il Codronchio 2023 della Fattoria Monticino Rosso e il Corallo Giallo 2024 di Gallegati nella versione secca. Questi bianchi raccontano l’ecletticità di un vitigno autoctono che può essere tutto: fresco e giovane, evoluto e complesso, dolce e avvolgente nella versione passito, persino macerato sulle bucce per chi cerca sentieri meno battuti.

L’Albana è la principessa della Romagna, un’uva che non ha paura di sperimentare, che si trasforma mantenendo sempre una riconoscibilità di fondo. La zona di Brisighella e il progetto Brix stanno lavorando per dare ancora maggiore visibilità a questa varietà, cercando quella omogeneità di linguaggio che possa far comprendere meglio le sue peculiarità territoriali.

Assaggiare un’Albana è sempre un’avventura: non si sa mai se si troverà un bianco profumato e minerale o una versione più morbida e avvolgente. Ma proprio questa imprevedibilità è il suo fascino, la capacità di sorprendere sempre, di non adagiarsi su formule consolidate.

Un territorio che guarda al futuro senza dimenticare le radici

I sedici Tre Bicchieri dell’Emilia-Romagna 2026 sono la fotografia di un territorio vitivinicolo in fermento. Non si tratta solo di eccellenze singole, ma di un movimento corale che sta ridefinendo l’identità enologica di questa regione. Dal Pignoletto dei Colli Bolognesi, sempre più interessante nelle versioni invecchiate, alla Spergola reggiana che promette nuove sorprese, fino alla Malvasia di Candia aromatica piacentina in attesa di valorizzazione definitiva: il futuro si annuncia ricco di sviluppi.

La divisione tra Emilia e Romagna nella Guida Vini d’Italia non è una separazione, ma un riconoscimento della complessità. Due territori che condividono una regione amministrativa ma parlano lingue vinicole differenti, con vitigni, tradizioni e filosofie produttive che meritano di essere raccontate distintamente. I produttori hanno capito che l’autenticità ripaga più dell’imitazione, che valorizzare il proprio territorio significa innanzitutto conoscerlo profondamente e rispettarlo.

Questi sedici vini sono messaggeri di colline che sanno di storia, di cantine dove ogni vendemmia è una scommessa con il cielo, di produttori che hanno scelto la qualità come unica strada possibile. Sono bottiglie che raccontano l’Emilia-Romagna con orgoglio, senza nostalgie né timidezze, guardando al futuro con la consapevolezza di chi ha radici profonde ma rami protesi verso l’alto.

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