È al cinema dal 3 maggio il film “Cosa dirà la gente”della regista pachistana Iram Haq. Il racconto crudo e dai toni provocatori di un’adolescenza vissuta su due binari troppo diversi. Un film che racconta ciò che a volte non vogliamo proprio vedere e capire.

Oslo. Nisha ha sedici anni e una doppia vita. In famiglia è una perfetta figlia di pachistani. Fuori casa è una normale ragazza norvegese. Quando però il padre la sorprende in casa di notte in compagnia del suo ragazzo i genitori e il fratello si organizzano per portarla, contro la sua volontà, in Pakistan affidandola a una zia. In un Paese che non ha mai conosciuto Nisha è costretta ad adattarsi alla cultura da cui provengono suo padre e sua madre.

Recensione Cosa dirà la gente, #Cosa dirà la gente. La recensione

Quando una storia è raccontata da chi l’ha vissuta sulla propria pelle si vede e si sente. Si sente in Cosa dirà la gente un certo risentimento, così come la volontà di Iram Haq di rimettere le mani sui propri ricordi, con gli occhi venati di sangue e i denti digrignanti che suonano vendetta.

Iram Haq fa il lavoro sporco dopotutto, ossia quello di dire alcune cose che potrebbero far rizzare i capelli a qualcuno, cose che tuttavia sono riflesso della pura realtà dei fatti. Realtà è che una sedicenne pachistana in Norvegia ha una doppia vita: la prima è quella all’esterno, fatta d’amici, sigarette, alcool, discoteche e i primi teneri incontri con l’altro sesso, comprese le fughe notturne e i messaggi sul cellulare che vibra ogni tre per due. La seconda è quella legata alla casa e alla famiglia. Un clima chiuso e protetto entro cui nulla di nuovo può entrare e nulla può uscire. Un sistema chiuso asfissiante e ipocrita, mescolato alla costante paura delle critiche e soggiogato all’opinione di parenti e vicini, anch’essi tenuti stretti in una morsa del rigore fumoso. Una catena viziosa fatta di circoli viziosi. Quando i due mondi entrano in collisione nella cameretta di Nisha però, colpevole d’aver fatto entrare un ragazzo dalla finestra per la buonanotte, la catena si spezza e il circolo va in tilt, chiedendo aria per continuare il proprio gioco del silenzio. In questo modo una giovane pachistana è impacchettata e spedita in medio oriente, costretta in una vita angosciosa e altra, distante e inconcepibile.

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Tutto ciò lo sa benissimo la signora Haq, che parla nella sua pellicola di sé stessa neanche stando troppo attenta a non farlo capire. No. Si deve sapere. E deve saperlo chi è inebriato e offuscato dall’idea di una globalità neanche mista, ma unificata, in cui la diversità non è neanche più elemento positivo ma neutro, eclissato da quella globalizzazione sociale che più che altro è una palude lasciata a ristagnare, entro cui le metamorfosi interne producono obbrobri e mostri.

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Un film coraggioso quello di Iram Haq che per mezzo di una regia striminzita e consumata fino all’osso va dritta al dunque. Qualche volta di troppo alcuni eccessi, vedi le scene di violenza psicologica su due ragazzini costretti a spogliarsi e a lasciarsi filmare dalle corrotte autorità pachistane. Ma va bene così, almeno per questa volta. L’indignarsi è affare di chi proprio non vuole capire, dunque che si indignino, una volta per tutte. Cosa dirà la gente è un lavoro storicamente e cronologicamente puntuale, che apre la crisi in un clima già critico. Sfonda rumorosamente una porta spalancata. L’augurio è quello di riuscire a fare più rumore del previsto.