Non abbiamo tutti la stessa famiglia. Non cresciamo tutti con entrambi i genitori e, anche in caso contrario, non sempre andiamo con loro perfettamente d’accordo.
Ci sono padri e madri onnipresenti nel bene, cioè amichevoli, sempre pronti ad ascoltare i propri figli, e ci sono invece genitori onnipresenti nel male, vale a dire possessivi, autoritari e persino intransigenti.
John è cresciuto in una famiglia del secondo tipo, in cui ad avere questi atteggiamenti possessivi, autoritari e intransigenti è suo padre Willis.
Falling – Storia di un padre è un film del 2020 scritto e diretto da Viggo Mortensen, reduce dalla sua ultima grande prova cinematografica, Green book, uscito nel 2019.
Mortensen ha sentito l’esigenza di consacrare senza ulteriori indugi la sua curiosità nei confronti della regia. “Ho imparato da registi davvero bravi e ho cercato di fare tesoro di quelle lezioni per preparare le riprese e comunicare in modo efficace con gli attori e la troupe” ha detto l’attore in merito al suo pregresso interesse verso l’arte registica.
“Sono sempre stato un attore molto ficcanaso, per così dire. Mi ha sempre interessato sapere che tipo di obiettivo veniva preferito, perché e come una determinata scena veniva illuminata in un dato modo, per quale motivo veniva scelto un certo cappotto o abito.” Dunque, l’origine di questa sua venerazione per le domande è stato l’interesse per il lavoro altrui; del resto Mortensen ha dichiarato che gli è sempre piaciuto “l’aspetto collaborativo del fare cinema, l’opportunità di assistere e partecipare pienamente al processo di narrazione di una storia”.
Torniamo però alla nostra storia. Il film ripercorre il rapporto che lega un figlio – pilota di voli commerciali che abita a Los Angeles con il partner e la loro figlia adottiva – al suo anziano padre, un uomo dalle strette vedute, che vive e lavora in una fattoria.
John conduce suo padre Willis a Los Angeles perché deve sottoporlo a un intervento, e anche perché suo padre ha iniziato a manifestare i sintomi della demenza senile. Preferisce stargli accanto.
La storia è un continuo salto temporale dal passato al presente, cioè da quando John e sua sorella furono testimoni del divorzio dei loro genitori a quando ormai hanno messo su delle famiglie e avuto dei figli. In tutto questo, hanno continuato a fare visita a loro padre che, però, non sempre li ha trattati con il dovuto affetto.
Willis, infatti, era un uomo brusco e dalle strette vedute mentali, che ha causato dapprima seri danni psicologici alla moglie e, successivamente, anche a loro due. I suoi atteggiamenti erano tutti basati sulla prepotenza e talvolta sulla violenza fisica: prima ancora di ascoltare il parere degli altri altri, Willis imponeva le sue decisioni, incurante di come il suo egoismo avrebbe fatto sentire moglie e figli. Anche di fronte al passare degli anni, Willis pensa di poter replicare lo stesso carattere con i suoi nipoti, credendo di avere sempre l’ultima parola.
Più dolce e mite è invece John, che subisce sin da piccolo l’egocentrismo del padre pur essendo contrario a ogni tipo di violenza, fisica e/o verbale. Per questo motivo, quando suo padre lo provoca, spesso tirando in causa la sua omosessualità, John replica con il silenzio o cambiando discorso, forse perché non vuole più badare alla sofferenza causata da Willis, ma anzi tenerla lontana da sé e dalle persone che ama.
All’origine dello script originale c’è un curioso viaggio in aereo di Viggo Mortensen, intrapreso dopo il funerale della madre. Durante quel volo, Viggo ha cominciato a mettere per iscritto alcune memorie personali relative alla defunta, che l’hanno inevitabilmente portato a rievocare anche suo padre.
“Al momento dell’atterraggio le impressioni che mi ero appuntato si erano evolute in un racconto fatto essenzialmente di conversazioni e di momenti che in realtà non erano mai avvenuti, di battute parallele e divergenti che in qualche modo suonavano giuste e che ampliavano la mia prospettiva dei ricordi reali della nostra famiglia che avevo costruito.”
Non c’è dubbio, Falling – Storia di un padre sarà a tutti gli effetti il film consacratore della decade attuale. Il 2020, infatti, ha riacceso in tutti il desiderio di riabbracciare persone a noi care proprio nel momento in cui, per indicazioni sanitarie e governative, era assolutamente proibito uscire di casa e avvicinarsi alle altre persone.
Se il film, anziché essere ambientato nel 2009, fosse stato portato nel 2020, se quindi John avesse dovuto sottostare a un periodo di quarantena lontano dal padre, ebbene sarebbe stato tutto molto più semplice: non avrebbe dovuto preoccuparsene in alcun modo. Tuttavia, benché già i loro rapporti non fossero costanti, l’idea di lasciarlo solo ai suoi “disordini mentali” gli avrebbe creato molte più seccature di quelle che suo padre stesso gliene dava sin dall’infanzia.
Questa prima prova registica di Mortensen, superata a pieni voti, ci pone davanti a importanti quesiti, evocando situazioni in cui tutti potremmo trovarci – e a cui sapremmo come reagire – ma che restano del tutto ipotetiche. Ciononostante, non sono ugualmente presenti nella nostra intimità?
Infine, a creare questo perfetto equilibrio tra ciò che viene realmente detto e ciò che invece resta solo in mente, vi è l’attenta collaborazione tra le persone del team, a partire dai suoi due amici Daniel Bekerman e Chris Curling, rispettivamente produttore canadese presso la Scythia Films e produttore inglese presso la Zephyr Films.

Vorrebbe avere una conversazione con Audrey Hepburn, ma si accontenterà di sognarla guardando i suoi film.
Ama leggere: legge qualsiasi cosa scritta su qualsiasi superficie materiale e, se la trova particolarmente attraente, la ricopia subito senza pensarci troppo.
E fu così che iniziò millemila quaderni delle citazioni sparpagliati tutti sulla sua scrivania in disordine.