Nel chiostro rinascimentale del Piccolo Teatro Grassi, dove le pietre custodiscono quasi ottant’anni di storia scenica, un artista multidisciplinare che ha realizzato opere in tutto il mondo ha appena acceso una nuova fiamma nell’immaginario collettivo milanese. Angelo Bonello, light artist di fama mondiale e fondatore dello Studio Creativo Kitonb, ha donato alla città un’installazione site-specific che trasforma il più iconico dei servi bergamaschi in una scultura di fotoni e significati stratificati.
L’opera è molto più di una semplice celebrazione teatrale. Si tratta di un dialogo tra materia e immaterialità, dove il legno antico e consumato dei palchi itineranti del Cinquecento diventa piedistallo per flussi luminosi che danzano come le parole e i gesti della tradizione attoriale italiana. Bonello, che ha un curriculum ricco ed eterogeneo, con esperienze in teatro e in televisione, ha scelto di non limitarsi alla pura estetica: la sua creazione articola un discorso sulla dualità umana, sull’equilibrio precario tra opposti che Arlecchino ha sempre incarnato.
Il teatro come linguaggio universale della contemporaneità
Il 24 luglio 1947 debuttò al Piccolo Teatro di Milano Arlecchino servitore di due padroni, uno spettacolo che cadenzò per 50 anni le stagioni del Piccolo Teatro e che ancora oggi rappresenta uno dei contributi più significativi del teatro italiano alla scena mondiale. Giorgio Strehler decise di recuperare la maschera della Commedia dell’Arte chiamata Arlecchino, trasformando un canovaccio goldoniano in un manifesto di poetica teatrale che ha attraversato continenti.
La scelta di Bonello di creare un’opera luminosa dedicata proprio a questo personaggio non è casuale. La Commedia dell’arte rappresentò la prima occasione in cui abbiamo compagnie di attori professionisti nel Teatro Occidentale, segnando la nascita del teatro come professione riconosciuta. Le maschere della Commedia dell’arte sono personaggi stilizzati che indossano maschere insieme a costumi caratteristici e che si esprimono con gesti codificati, un sistema semiotico che anticipa di secoli il linguaggio della performance contemporanea.

Luce e memoria: un’eredità che si rinnova
L’installazione si colloca nella lunga tradizione di collaborazioni tra Bonello e le istituzioni culturali milanesi. L’artista torinese di fama internazionale aveva già concepito un’imponente silhouette di un’elegante ballerina luminosa per il Teatro alla Scala, composta da 1200 luci a led e alta ben 10 metri. Ogni suo intervento nello spazio pubblico diventa occasione per interrogare il rapporto tra corpo, movimento e spazio urbano.
La peculiarità dell’Arlecchino di Bonello risiede nella sua capacità di essere simultaneamente arcaico e futurista. Il supporto ligneo rimanda ai palcoscenici improvvisati delle piazze rinascimentali, mentre le dinamiche visive e le variazioni cromatiche appartengono al vocabolario dell’arte digitale contemporanea. È questa tensione tra passato e presente che rende l’opera un dispositivo di riflessione sulla persistenza della cultura teatrale italiana nell’era della smaterializzazione.
La dimensione corale dell’arte pubblica
La presenza di istituzioni come A2A e Banco dell’energia accanto al Piccolo Teatro sottolinea come l’arte pubblica contemporanea necessiti di alleanze strategiche tra pubblico e privato. A2A ha sostenuto progetti come Light Is Life, la più grande Light Art Exhibition realizzata in Italia per Brescia, Bergamo e Montisola, per la Capitale Italiana della Cultura 2023. Queste collaborazioni testimoniano una concezione della cultura come bene comune che richiede investimenti condivisi e visioni coordinate.
L’opera di Bonello si accenderà durante le repliche dello spettacolo, creando una sincronicità tra la rappresentazione teatrale interna e la manifestazione luminosa esterna. Questo doppio registro scenico amplifica il messaggio: il teatro non è confinato alla sala, ma si espande nello spazio cittadino, rivendicando il proprio ruolo di elemento costitutivo dell’identità urbana.
Arlecchino come specchio dell’uomo contemporaneo
Arlecchino è la notissima maschera bergamasca, il servo imbroglione, perennemente affamato, ma è anche molto di più. Nella rilettura di Bonello diventa acrobata tra segni e significati, figura capace di mantenere in equilibrio dinamico forze contrapposte. La sua condizione di “servitore di due padroni” assume risonanze nuove nell’epoca della frammentazione identitaria e delle molteplici appartenenze.
La scelta del legno come supporto materiale acquista valore simbolico: l’Arlecchino è sangue che pulsa e scorre nelle vene di un teatro reale e immaginario, come in un corpo umano come affermava Strehler. Bonello prolunga questa metafora organica attraverso la luce, elemento che tradizionalmente rappresenta la vita, la conoscenza, la rivelazione.
Un ponte tra generazioni e geografie
Centinaia di attori hanno recitato Arlecchino nel corso dei decenni, ciascuno portando al personaggio le proprie inflessioni interpretative. L’installazione di Bonello si inserisce in questa catena di trasmissioni, proponendo però una forma non verbale, non corporea, eppure intensamente espressiva. La luce diventa il nuovo interprete, capace di parlare simultaneamente a pubblici diversi senza mediazioni linguistiche.
Questo aspetto risulta particolarmente significativo in un’epoca di mobilità globale: le opere di light art di Bonello sono state esposte nei più importanti contesti internazionali con installazioni permanenti e temporanee a Londra, Toronto, Washington, Riyadh, Singapore, Amsterdam, Chengdu e Sydney. L’arte luminosa possiede un linguaggio transculturale che supera le barriere idiomatiche, rendendo accessibile l’eredità della Commedia dell’Arte anche a chi non conosce la tradizione teatrale italiana.
Il valore del gesto artistico nel tessuto urbano
L’inaugurazione dell’opera nel chiostro intitolato a Nina Vinchi rappresenta un ulteriore livello di stratificazione simbolica. Il Piccolo Teatro di Milano fu fondato il 14 maggio 1947 da Giorgio Strehler e Paolo Grassi con Nina Vinchi, figura spesso dimenticata nella narrazione ufficiale ma fondamentale nella costruzione di quello che sarebbe diventato il primo teatro stabile italiano.
Collocare l’installazione in questo spazio specifico significa riconoscere la genealogia femminile del teatro pubblico milanese e, al contempo, proiettarla verso il futuro attraverso un linguaggio artistico innovativo. Il chiostro diventa così palinsesto architettonico dove si sovrappongono epoche, memorie e prospettive.

Direttore editoriale di nonewsmagazine.com | Il magazine dell’ozio e della serendipità.
Direttore responsabile di No News | La free press dell’ozio milanese.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare agli amori sofferti tra le campagne inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo, c’è chi lo chiama “il fondamentalista del Loggione”. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita, tuttavia, rimane la Tosca.




































