Ci lasciamo trasportare, o almeno ci proviamo, all’interno della Berlino più calda, negli anni della guerra, in quel clima folle e isterico descritto da Hans Fallada nel romanzo Ognuno muore solo, trasportato al cinema da Vincent Pérez con Lettere da Berlino. Dal 13 ottobre al cinema.

Otto e Anna, appartenenti alla classe operaia degli anni 40, vivono sotto l’ombra della dominazione nazista cercando di stare lontani dai guai. Appresa la notizia della morte del figlio impegnato sul fronte, i due s’impegnano in una lotta silenziosa contro il regime, distribuendo in tutta la città cartoline di propaganda anti nazista. Attirano così l’attenzione dell’ispettore della Gestapo Escherich che s’impegna in una vera e propria caccia all’uomo.

Basato su una storia vera, estratto da un bestseller di tutto rispetto, il film di Vincent Pérez parte timido, senza carico, anche un tantino noioso se vogliamo. Facendo una piccola precisazione sul fatto che quelle utilizzate da Otto e Anna siano “cartoline” e non “lettere” (incomprensibile l’adattamento linguistico del titolo operato dalla distribuzione), Lettere da Berlino necessita, per mano del suo scrittore, di un preambolo a tratti inutile prima d’immergersi nel suo vivo. La silenziosa coppia tedesca vive male il dramma della perdita. “Male” qui non è termine positivo così come al cinema dovrebbe essere. Il male in questione giunge dalla scrittura di Pérez, il regista e attore svizzero, che mai riesce a convincere quando sulla sua pellicola deve comparire l’aspetto più concreto e visivo espressamente legato ad un lutto.

Insomma, a Pérez interessa parlare delle cartoline e della Gestapo, palese è che la mano dell’autore sia frettolosa; vuole arrivare proprio lì e il resto è lasciato un po’ al caso. La Thompson ci prova a fare la mamma distrutta, Gleeson è una grossa mummia con cappotto e cappello che si muove furtivo come un nuovo mostro di Dusseldorf. Più convincente (a tratti) è Daniel Bruhl, autorizzato dai panni che riveste negli eccessi di violenza propri della polizia di stato nazista.

Seguire il destino dei due coniugi che non hanno più nulla da perdere, accompagnarli così sulla cattedra degli imputati, diviene un’operazione riflessiva, semplice da anticipare; non lascia mai dubbi, allora i dubbi li costruiamo noi. Forse si poteva fare meglio.

Il compito di Otto e Anna è quello di gettare sabbia negli ingranaggi della macchina nazista; lo stesso compito non riesce a Pérez, che in qualche modo crede di gettare calce nell’ingranaggio (sereno e pacifista) della visione dello spettatore, facendo colare tuttavia un serbatoio d’olio sulle rotelle dentate della noia. L’unico fine sarà il dimenticatoio.