C’è una fotografia che racconta tutto di Enrico Crispolti: estate del 1978, lui in piedi dentro una struttura di tubi metallici, incorniciato come in un quadro, mentre prende appunti su fogli srotolati fino ai piedi. È l’immagine di un critico d’arte che non si è mai accontentato della scrivania, che ha vissuto l’arte sul campo, tra cantieri espositivi e atelier, sempre con il taccuino in mano. Proprio questo spirito anima la mostra che il Museo del Novecento gli dedica fino all’11 gennaio 2026, primo appuntamento del nuovo ciclo “Voci del Novecento”.

Negli spazi degli Archivi Ettore e Claudia Gian Ferrari si snoda un percorso biografico e intellettuale che restituisce la figura di questo storico dell’arte romano, scomparso nel 2018, attraverso materiali in gran parte inediti: quaderni annotati, corrispondenze con artisti, fotografie, registrazioni audio. Non una celebrazione agiografica, ma il ritratto di un pensiero in movimento, di una militanza culturale che ha attraversato settant’anni di storia dell’arte italiana.

Il metodo orizzontale: da Fontana a Staccioli

Crispolti fu allievo di Lionello Venturi alla Sapienza, ma la sua vera formazione avvenne nelle gallerie e negli studi degli artisti. L’incontro con Lucio Fontana e Francesco Somaini negli anni Cinquanta lo portò a seguire da vicino l’Informale e i suoi sviluppi, dalla Nuova Figurazione alla Pop Art italiana. Il suo approccio era democraticamente orizzontale, come amava dire: non inseguiva solo i nomi consacrati, ma mappava con meticolosa attenzione tutte le ricerche in corso, convinto che il critico dovesse essere “compagno di strada” degli artisti, non giudice dall’alto.

Milano fu uno dei suoi poli magnetici, pur essendo romana e docente a Salerno e Siena. Qui dialogò con Enrico Baj, Emilio Scanavino, i “quattro pittori” milanesi, Mauro Staccioli. Il loro lavoro, confesserà lui stesso, fu spinta per una maturazione metodologica che trasformò il suo sguardo critico in progetto curatoriale.

Volterra ’73 e le Biennali: l’arte nello spazio sociale

La mostra dedica particolare attenzione ad alcuni episodi espositivi cruciali. Volterra ’73, la mostra diffusa nella città toscana, dove le opere interagivano con i luoghi simbolici del territorio, dall’ex manicomio al carcere. Poi le Biennali di Venezia del 1976, 1977 e 1978, dove Crispolti portò una visione dell’arte come partecipazione sociale, documentando il lavoro degli “operatori visivi” attivi sul territorio nazionale. E ancora la “Ricostruzione futurista dell’universo” alla Mole Antonelliana di Torino nel 1980, pionieristica mostra immersiva che anticipava le tendenze contemporanee.

Attraverso documenti, manifesti e contenuti multimediali accessibili tramite QR code, emerge il ritratto di uno studioso che seppe coniugare ricerca storica e impegno civile, trasformando la critica in azione politica e culturale. Un’eredità che continua a interrogare le nuove generazioni di studiosi, come dimostrano i saggi raccolti nel volume edito da Silvana Editoriale che accompagna l’esposizione.