Ero lì, nelle viscere del Musée du Quai Branly, dove l’aria profumava di champagne e aspettativa. Il seminterrato del museo, intimo e carico di tensione, si è trasformato nel palcoscenico perfetto per quello che Duran Lantink ha definito il suo debutto per Jean Paul Gaultier, una collezione che porta il nome evocativo di “JUNIOR”. Prima ancora che le luci si abbassassero, ho potuto percepire l’energia pulsante di qualcosa che stava per accadere: una resurrezione e una ribellione, come ama definirla lo stesso Lantink.
La scelta del nome non è casuale. Junior Gaultier fu la linea iconica che catturò l’immaginazione tra il 1988 e il 1994, un’epoca in cui la moda flirtava pericolosamente con la vita notturna, quando i confini tra passerella e dancefloor si dissolvevano in una nuvola di edonismo e libertà creativa. Seduta in prima fila, ho sentito immediatamente che questo non sarebbe stato un semplice omaggio nostalgico, ma qualcosa di visceralmente contemporaneo.
La visione di Duran Lantink: tra memoria e provocazione
Lantink ha raccontato di aver evitato l’archivio della maison, preferendo invece creare una fantasia basata sui ricordi che aveva di Gaultier, rielaborandoli attraverso la sua sensibilità unica. Ed è proprio questa “Duranification” – come la chiama lui – che ho visto prendere forma davanti ai miei occhi. Mesi di sperimentazione in cui i pezzi vengono creati, distorti, reinventati o lasciati scomparire, un processo quasi alchemico che trasforma la materia in emozione.
La prima modella è apparsa con una silhouette che sembrava il figlio dell’amore tra il famoso reggiseno a cono di Gaultier e le sagome gonfie caratteristiche del designer olandese. Ho trattenuto il respiro. Era futurismo pneumatico, era audacia pura, era tutto ciò che non ti aspetti di vedere un martedì pomeriggio parigino e che invece ti ricorda perché ami questo mestiere.
RoXY Amsterdam: l’anarchia della notte che diventa codice estetico
La fonte d’ispirazione più intrigante è stata il libro fotografico “Het RoXY Archief, 1988–1999” della fotografa olandese Cleo Campert, che documentava il leggendario club di Amsterdam ormai scomparso. Lantink, che da ragazzino ossessionato dalla rave culture ha scoperto questo volume, ha trovato nelle immagini quella libertà selvaggia e stilosa che caratterizzava l’epoca. RoXY era anarchico, sudato, elegante senza sforzo, e molti dei suoi frequentatori indossavano proprio la linea Junior Gaultier.
Ho osservato questa eredità trasformarsi in trompe-l’oeil anatomici che brillavano sotto le luci della passerella. Body futuristici tagliati alti sulla gamba, abiti che sembravano sfidare la gravità coprendo solo seno e fianchi sul davanti, trench bisecati che lasciavano il midriff scoperto. Era moda per trasformarsi, non necessariamente qualcosa che vedresti per strada, come ha ammesso candidamente lo stesso designer.
Anatomie impossibili e silhouette distorte
Le stampe tridimensionali hanno dominato la narrazione visiva. Top e leggings con corpi pelosi, organi cartooneschi o tatuaggi stampati in 3D sulla superficie. Il motivo signature del tatuaggio su mesh si è inflazionato in forme scultoree, creando un effetto straniante e magnetico. Altri pezzi portavano impressa l’etichetta Junior Gaultier, un meta-riferimento che giocava con la storia stessa della maison.
Le righe marinière si distorcevano in illusioni ottiche, il tailoring dismorfico ridefiniva le proporzioni con gonne che volavano e spalle che scomparivano. Ho amato in particolare gli accessori: occhiali da sole con lenti che sembravano fluttuare lontano dal viso, un dettaglio così Gaultier nella sua stravaganza funzionale, così Lantink nella sua esecuzione ipercontemporanea.
La palette emotiva e i gioielli che catturano la memoria
Bordeaux, giallo senape, azzurro cielo e grigio componevano la palette cromatica, tonalità che pulsavano con il DNA inconfondibile di Gaultier ma filtrato attraverso un prisma più acido e notturno. I gioielli abbaglianti catturavano movimento e memoria simultaneamente, creando quell’effetto di déjà vu elettrico che Lantink cerca ossessivamente.
La colonna sonora includeva i pezzi spoken-word ipnotici del poeta e artista John Giorno, che hanno aggiunto uno strato meditativo ma sovversivo all’esperienza. Come ha osservato Lantink, ascoltarlo è come essere trasportati nel processo di pensiero di qualcun altro, e io mi sono sentita esattamente così: immersa in un flusso di coscienza fatto di tessuto e forma.
I pezzi portabili nascosti tra le provocazioni
Tra tutte le provocazioni – e ce n’erano molte, forse troppe per chi cerca immediatezza commerciale – erano disseminati pezzi con potenziale reale. Ho annotato mentalmente le giacche con orli che si arricciano verso l’alto in omaggio ai cappelli da marinaio, gli abiti lunghi e i pantaloni con fasce in vita curvilinee. Quei top e leggings stampati potrebbero facilmente trovare casa negli armadi di chi ama spingersi oltre i confini del convenzionale senza perdere di vista la portabilità.
Il profumo di quello che è accaduto la notte scorsa
Lantink lo ha paragonato a “cogliere una boccata di Le Male sul cuscino del letto – il promemoria euforico di quello che è successo la notte scorsa”. Questa frase mi ha colpita profondamente. Perché in fondo è questo che la moda dovrebbe fare: lasciare una traccia, un ricordo sensoriale, la nostalgia resa elettrica.
Mentre le ultime modelle lasciavano la passerella e gli applausi riempivano quel seminterrato carico di suggestioni, ho capito che Lantink non stava semplicemente occupando lo spazio lasciato da Jean Paul Gaultier. Stava creando un dialogo generazionale, dove i codici irriverenti del fondatore incontrano la sperimentazione senza paura del nuovo interprete. È indipendenza creativa allo stato puro, giocosa ma precisa, ribelle ma raffinata.
Non si chiama JUNIOR per niente. È l’inizio di una nuova era dove la libertà torna a essere il vero lusso.

Il mio sport preferito è imbucarmi alle sfilate di moda.
Racconto con passione le tendenze che scandiscono il ritmo del mondo contemporaneo. Attraverso i miei articoli, esploro il connubio tra creatività e innovazione, dando voce a stilisti emergenti e grandi nomi della scena internazionale. Amo analizzare non solo gli abiti e gli accessori, ma anche i contesti culturali e sociali che ne influenzano l’evoluzione. Il mio obiettivo è offrire ai lettori insight esclusivi e storie appassionanti che raccontano il dietro le quinte delle sfilate, le ispirazioni dei designer e le nuove frontiere del design. Con uno sguardo attento e uno stile narrativo coinvolgente, trasformo ogni pezzo in un racconto unico, capace di ispirare e informare chi ama vivere la moda come forma d’arte e espressione personale.





































