Oltre la metà dei pazienti in dialisi manifesta un tipo di prurito differente da quello cutaneo “comune”: è il prurito correlato a insufficienza renale cronica, un prurito sistemico, grave, continuo, che impatta pesantemente sulla qualità di vita delle persone che ne sono affette. Le zone del corpo maggiormente colpite sono la schiena e le gambe, creando uno stato di sofferenza cronica con gravi ricadute anche a livello di stress e di disagio psicologico.

Su questo tema, poco conosciuto e poco considerato, si sono confrontati oggi clinici, associazioni di pazienti, infermieri e farmaco economisti nel corso di un evento divulgativo che si è tenuto a Roma grazie al contributo non condizionante di CSL Vifor, azienda impegnata nella ricerca di soluzioni terapeutiche per la cura di patologie nefrologiche e cardio renali. Nel corso dell’evento sono stati presentati i risultati di 3 interessanti survey che hanno visto coinvolti, rispettivamente, i nefrologi, i pazienti e gli infermieri.

In particolare, la SIN, Società Italiana di Nefrologia, ha sottoposto ai nefrologi di 116 centri (di cui la metà con oltre 100 pazienti in dialisi), un questionario sul prurito correlato all’insufficienza renale cronica, da cui è emerso che:

  • l’87% dei nefrologi, ovvero la quasi totalità, non utilizza strumenti di valutazione per il prurito e di conseguenza non è in grado di poter maturare una corretta diagnosi;
  • poiché non è previsto uno screening routinario per il prurito correlato all’insufficienza renale cronica, in quasi il 50% dei casi i nefrologi intervengono solo se il paziente riferisce il sintomo;
  • per quanto riguarda l’approccio farmacologico, l’80% dei nefrologi ricorre all’utilizzo di farmaci senza che ci sia uniformità nella gestione (si va dalle creme emollienti per ridurre la secchezza cutanea, ai cortisonici orali, alle gabapentine).
  • l’85% dei nefrologi ritiene necessario un nuovo trattamento per il prurito in dialisi, data l’assenza di farmaci con indicazione specifica.

Dai risultati della survey di SIN emerge come, secondo il suo Presidente, Professor Stefano Bianchi, – “il prurito rappresenta, nei pazienti in dialisi, senza dubbio uno dei sintomi che maggiormente impatta sulla qualità di vita e, quando di grado moderato-severo, ha pesanti ripercussioni sui rapporti interpersonali, lavorativi e sociali di questi pazienti. Noto fin dagli albori della dialisi e resistente alla maggior parte degli interventi terapeutici messi in atto per cercare almeno di attenuarlo, questo sintomo è stato spesso ritenuto una inevitabile conseguenza del trattamento dialitico. La recente prospettiva di poter disporre di una nuova efficace e tollerata terapia del prurito ha dato nuova forza ai nefrologi e soprattutto ai pazienti per affrontare con forte determinazione questo importante problema, mettendo in atto programmi di sensibilizzazione, formazione e comunicazione sulle nuove prospettive terapeutiche che a breve saranno disponibili.

L’indagine ha coinvolto anche i pazienti attraverso un questionario realizzato e distribuito da ANED – Associazione Nazionale Emodializzati, in 153 Centri di dialisi italiani, pubblici e privati. Sono state raccolte 1905 risposte:

  • il 53,3 % dei pazienti in trattamento dialitico cronico ha riferito prurito segnalandolo come un sintomo continuo, intenso e impattante sulla qualità di vita;
  • nel 40% dei pazienti il prurito influenza in maniera importante la vita quotidiana, limitando fortemente le relazioni con gli altri;
  • dai pazienti emerge sconforto e rassegnazione nei riguardi del prurito: il 75% pensa che sia legato alla dialisi e che non esista alcun tipo di possibile soluzione;
  • il 17% riferisce che il medico ha comunicato che è stato fatto tutto il possibile alla luce delle attuali conoscenze mediche;
  • il 78% dei pazienti richiede un maggiore impegno nella ricerca riguardo alle cause e ai rimedi che possano consentire di trattare il prurito efficacemente.

La metà dei pazienti riferisce il prurito come una condizione spesso presente che diventa particolarmente fastidiosa di notte con ripercussioni, anche gravi, sulla loro condizione di vita peraltro già impattata dalla patologia renale.

Per avere un quadro chiaro della condizione di vita dei pazienti con prurito correlato a insufficienza renale cronica – commenta il Professor Antonio Santoro, Comitato Scientifico ANED, Associazione Nazionale Emodializzati abbiamo interrogato direttamente i pazienti e circa il 50% di loro, ci ha risposto che il prurito ha cambiato profondamente la loro qualità di vita. In particolare, il 30% dei pazienti con maggiore gravità del sintomo, riferisce che il prurito ha compromesso la loro vita sociale, il lavoro, e i loro affetti”.

Una valutazione, quella della QoL (Quality of Life) che necessita di strumenti per la sua misurazione che passano attraverso il coinvolgimento attivo dei pazienti per mezzo, anche, della partecipazione consapevole alle scelte di salute che impattano sulla loro vita oltre che sul Servizio Sanitario Nazionale.  “Sarebbe utile – commenta Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria e Microeconomia, Università degli Studi di Roma Tor Vergata e Presidente SIHTA – Società Italiana di Health Technology Assessment- chiedere direttamente al paziente quale è l’impatto reale sulla vita quotidiana. In questo modo si possono andare a valutare gli effetti, reali e negativi, del prurito correlato all’insufficienza renale cronica sulla vita dei pazienti stessi e dei loro caregiver.  Effetti che hanno un costo, oltre che per il paziente, anche per il Servizio Sanitario Nazionale. Quando si parla di qualità della vita – prosegue Mennini – diviene importante andare a valutare e quantificare i costi diretti non sanitari ed i costi indiretti. Infatti, l’impatto negativo sulla qualità della vita si traduce, dal punto di vista dei costi, in una perdita di produttività (dei pazienti e dei caregiver), in un incremento dei costi a carico del sistema previdenziale e sociale quale conseguenza delle disabilità correlate alla malattia nonché dei costi sanitari a carico diretto dei pazienti e dei caregiver. Non solo, comunque, costi indiretti, ma anche costi diretti sanitari. Questi pazienti, infatti, sono “costretti” a fare ricorso a farmaci che vanno a ridurre il problema psicologico conseguente la condizione morbosa che li caratterizza, andando ad incrementare una voce di spesa a carico del SSN.

Risulta quindi evidente l’importanza di andare a lavorare sulla comunicazione con il paziente e, in tal senso, il ruolo degli infermieri è determinante in termini di capacità di intercettarne il disagio.  Come dichiara Alessandro Pizzo, Vicepresidente SIAN, Società Italiana Infermieri area nefrologica, il rapporto con il paziente può migliorare “utilizzando un linguaggio comune, semplice, chiaro, empatico e al tempo stesso scientificamente coerente. Migliorando la qualità delle relazioni tra le persone affette da malattia renale cronica, i professionisti della salute e i loro caregiver, proprio a partire dalla parola – elemento chiave della relazione di cura – possono contribuire a creare un rapporto di assoluta fiducia per favorire un’efficace alleanza terapeutica”.