Dal 1° maggio nelle nostre sale il biopic sul duo della commedia più amato di sempre: Stanlio e Ollio. Il film di Baird ripercorre l’ultimo colpo di coda artistico della coppia, poco dopo l’apice e poco prima della fine.

Nel 1953, Stan Laurel e Oliver “Babe” Hardy partono per una tournée teatrale in Inghilterra. Sono passati sedici anni dal momento d’oro della loro carriera hollywoodiana e, anche se milioni di persone amano ancora Stanlio e Ollio e ridono soltanto a sentirli nominare, la televisione sta minacciando l’abitudine culturale di andare a teatro e molti preferiscono andare al cinema a vedere i loro capolavori del passato oppure i nuovi Gianni e Pinotto, piuttosto che scommettere sulle loro esibizioni in teatrini di second’ordine. Eppure i due vecchi compagni di palcoscenico sanno ancora divertirsi e divertire, e la tournée diventa per loro l’occasione di passare del tempo insieme, fuori dal set, come non avevano mai fatto prima, e di riconoscere per la prima volta il sentimento di amicizia che li lega.

Recensione Stanlio e Ollio, #Stanlio e Ollio. Dopo l’apice e prima della fine

Ad un passo dal traguardo e con tanta storia dietro. La storia è quella della commedia cinematografica americana, perché è vero che i nomi che per primi vengono tirati sempre fuori dal cilindro sono altri, ma lo smilzo e il grassone -con infinito affetto- non li si può certo mettere sul secondo piano. Il film di Baird ritaglia una precisa porzione di tempo da rappresentare e raccontare. È il momento del raccolto, l’ultimo, dopo le fruttuose imprese del passato. È il momento della riflessione, del quasi inevitabile declino; il tempo delle domande e anche della promessa dell’amicizia.

Chi si è sempre e solo limitato a ridere delle buffonerie del duo trasmesse in tv forse non sa che la Gran Bretagna è stata l’ultima meta artistica di Stanlio e Ollio. In particolare, va specificato, alberghi a basso costo, teatri di second’ordine, bottini da fame e a chiudere il cerchio, tanti no e sogni spezzati.

Esibizioni per venti o forse trenta spettatori, in attesa di un SI per il possibile ultimo film dei due prima del ritiro. Ma i tempi cambiano, e il cinema sa, in modo crudele, vestire i panni del riflesso specchiato di questa mutazione. La regia di Baird perde con ragione i ghirigori e il fracasso luminoso hollywoodiano che un altro periodo raccontato avrebbe meritato. Ci sono due uomini e non più delle vere e proprie celebrità da seguire nella luce tiepida delle lampade mentre vengono tirate fuori idee originali per battute e situazioni comiche che mai vedranno l’occhio di un obiettivo cinematografico.

Recensione Stanlio e Ollio, #Stanlio e Ollio. Dopo l’apice e prima della fine

Il film accontenta un po’ tutti. L’esigenza trova legna da ardere nella messa in mostra di una risata scomparsa, vecchia e forse un po’ tardona ma comunque di una tenerezza malinconica che sa sorprendere lo spettatore moderno. Ridere per ciò per cui, oggi, non rideremmo mai, e farlo con tanta nostalgia. Il cinema ribadisce così ancora una volta il suo saper giocare con il tempo anche senza macchine o portali. Che la risata non abbia età è una sciocchezza, ma non è da sciocchi mettersi alla ricerca delle sue forme perdute.

Che far ridere il pubblico sia faticoso, nocivo per la salute e per un’amicizia: è questo il focus del biopic di Baird. Certo, non è un segreto che la finzione dello spettacolo, tra le varie cose, sia anche dissimulazione di una realtà da oltre sipario. Eppure anche il cinismo più marmoreo dovrebbe, una volta tanto, farsi da parte. Questo sentimentalismo, frutto di rotture e cuciture di quella che a tutti gli effetti figurava in primis come una relazione, non sbrilluccica fastidiosamente e non stanca. Il retroscena affettivo ha ragion d’essere in una pellicola che celebra, ancor più che la gloria passata, il consolidarsi di una memoria iconica.

Due cappelli neri. Questo resterà. Ciò che vi era al di sotto è già fantasma.