Quando Emiliano Corapi ha concepito l’idea dietro a ‘L’amore a domicilio’, pensava che mettendo in scena la storia di un amore “al chiuso” come questa avrebbe meglio esplorato l’eterno dilemma dell’amore, “vale a dire – dichiara – se sia meglio lasciarsi andare, rischiando di soffrire, o tenersi alla larga da ogni coinvolgimento, rinunciando però a una parte fondamentale della vita.”

I dialoghi incalzanti caratterizzati da un tocco di modesta ironia, assieme alla vellutata musica malinconica ci cullano per tutta la durata della visione, al termine della quale emettiamo il tipico fiatone di quando scendiamo dalle giostre.

Il film incornicia una dolce fiaba per bambini restando un racconto per adulti: è un continuo transitare tra innocenza perenne e innocenza perduta, retto su personaggi insicuri e puerili, coraggiosi ma senza saperlo, a cominciare dal più marginale di tutti – il saggio fioraio che ci ricorda che dire “mi manchi” è un’ottima soluzione per non perdere chi ami – alla sbarazzina ed eccentrica Anna (Miriam Leone), una giovane inquieta agli arresti domiciliari.

Senza dimenticare Renato (Simone Liberati), che per lavoro si procaccia polizze puntando su una assertività di tutto rispetto, che tuttavia non lo accompagna più una volta tornato a casa o in presenza della sua fidanzata.

Ci si sente in presenza di una riscrittura del celebre “Colazione da Tiffany” di Truman Capote, dove la protagonista anziché rubare uova di tacchino correndo per le praterie del Texas, si è procacciata qualche guaio rubando di qua e di la: entrambe sono fuggite da una casa che non tolleravano più ed entrambe hanno abbracciato un destino piuttosto incerto, finendo vittime della loro finta aura cinica. E sapevano bene di essere quel tipo di creature selvatiche delle quali, se ci si innamora, si rischia di prendere più il peggio che il meglio.

Così, come Holly illudeva se stessa di poter trovare la felicità in un matrimonio di convenienza e in qualche gioiello perlato, anche Anna sa che senza le pizze e il tapis roulant di Renato non può andare lontano.

Ma c’è di più: l’aria di prolungata suspense, che ci lascia inizialmente interdetti sul seguito tra i due ragazzi, una volta che Anna viene assolta (non dimentichiamoci infatti che si sono conosciuti in strada, e Anna si è meritata ignara il più cordiale degli sconosciuti), ci riporta in mente anche il mini cult romantico di qualche anno fa, “500 giorni insieme”. Hanno in comune un inizio lento, talvolta altalenante e talvolta focoso; momenti di pura tristezza, anche se con un pizzico di felicità nascosta dietro l’angolo; per fortuna, tuttavia, la storia di Corapi riesce a tenersi lontana dal triste epilogo che vide Tom allontanarsi per sempre da Sole, ben prima del cinquecentesimo giorno di relazione…
Insomma, “L’amore a domicilio” conferma in tutto e per tutto l’intento di Corapi, ossia dimostrare che per amare, per amare tanto da sentirsi capovolti, bisogna inciampare ogni tanto. E non importa quanto ci farà male: nessuna ferita resta per sempre.

Nessun malinteso o agitazione cancelleranno il ricordo di cosa ci siamo portati dentro: quel che deve fiorire, fiorirà col tempo, e quel che deve appassire, appassirà nel momento più inaspettato.