The Social Dilemma – Netflix. La nota piattaforma di streaming, fondata nel 1997 e ormai diffusa a livello globale, ha da poco prodotto e distribuito un documentario che riesce a scatenare in qualunque spettatore l’insorgere di un esame di coscienza inerente al modo e al tempo con cui lo stesso utilizza i social network.

Forse stiamo usando la tecnologia in maniera inappropriata, o forse tramite la tecnologia ci stanno manipolando. Sin da subito questo documentario non ci racconta ipotesi o supposizioni, ma tenta di sfondare il muro della comune indifferenza con panzer ricolmi di dati e fatti. I nodi vengono sciolti, issati e riannodati accuratamente da ex-addetti ai lavori che, risvegliati da un improvviso senso di responsabilità verso il genere umano, si sono chiamati pentiti a testimoniare contro il sistema che loro stessi hanno contribuito a creare e incrementare negli anni (guadagnandoci).

Recensione di The Social Dilemma su Netflix, #The Social Dilemma: “Una tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.”

Il documentario infligge un ulteriore frattura tra le fazioni di utenti e opinionisti del web. Tramite la voce di diversi ingegneri e designer di internet prova a fare luce sui meccanismi con i quali il web, i social network e chissà quante altre realtà della rete, lucrano. Secondo le accuse mosse dal documentario, i social network deturpano e condizionano quotidianamente la nostra esistenza, ci rubano numerosi dati e con questi costruiscono una nostra mappa dell’esperienza: una sorta di avatar, un clone con il quale riescono a simulare il nostro processo decisionale e dissimulare la loro influenza. L’obiettivo rimane quindi uno soltanto: condizionare e direzionare, con dei semplici tap-tap, in maniera sempre più mirata le nostre scelte di acquisto. Dal principio eravamo e ci sentivamo dei consumatori ma inconsapevolmente, e chissà da quanto tempo, siamo diventati noi la merce.

Il documentario è il più discusso del momento ed è assolutamente da vedere in famiglia con i propri figli oppure insieme ai propri amici (anche la controversia è un propulsore di marketing molto efficace). Una provocazione interessante viene mossa nei confronti dell’influenza che i social network infliggono sulle menti delle nuove generazioni: i dati rivelano che dal 2010 (anno in cui ha inizio l’incremento degli iscritti) a oggi, il tasso di suicidi nelle fasce di popolazione più giovani negli USA è più che raddoppiato. Inoltre, sembra che sia effettivamente possibile assoggettare a Facebook. Inc scandali elettorali e l’insorgere, in alcuni luoghi del pianeta, di guerre civili o scontri per via del condizionamento politico messo in atto dalla società di Menlo Park (CA) sui cittadini.

The Social Dilemma vuole aprirci gli occhi sul grande occhio che si nasconde dietro lo schermo: server, database, dati, siamo costantemente tenuti sotto osservazione. Alcuni lettori si chiederanno – e allora, anche se mi osservano? Cosa potrebbe mai succedere? Ecco, niente di più sbagliato. Proveremo a rendere il concetto facendo un parallelismo. In ambito scientifico lo studio e l’osservazione di un soggetto porta il ricercatore che lo esamina ad apprendere, conoscere e capire maggiormente l’elemento preso in esame. Lo studioso riesce così a catalogare, selezionare e categorizzare numerosi dettagli e particolari che gli permettono di ottenere un sempre crescente controllo e potere di manipolazione sull’elemento in questione e sul quale poter continuare a operare i suoi esperimenti. Questo potere, nel caso di soggetti umani, deriva dall’acquisizione di una conoscenza intrinseca e si intensifica all’aumentare delle informazioni che lo studioso è in grado di raccogliere. Secondo il lungometraggio, della durata di un’ora e mezzo circa, il consumatore comune sui social network è diventato cavia e merce al tempo stesso, infatti come regola vuole: “Se non paghi per il prodotto, il prodotto sei tu”.

Il lavoro di Jeff Orlowski è molto inquietante e lascia intendere i social come una cassa di risonanza del carattere autolesionista e innato della razza umana. Scoprendo il fil rouge di questo lungometraggio, ebbene, sembra che l’umanità – da sempre artefice del suo destino – stia barcollando sul filo di un rasoio. La mercificazione stessa dei singoli individui ad opera (anche se non solo) dei social network sta deumanizzando la società contemporanea e conducendo gli uomini verso una dimensione favorevole ai tribalismi. Questa dimensione della realtà sembra desiderare di dipanare e dissolvere ogni moto di mediazione, ogni pulsione d’integrazione multiculturale e favorire, invece, la nascita di nuove forme di socialità basate su schemi ideologici più integralistici e populisti. Questi meccanismi infuocano i conflitti e portano verso lo sfacelo il concetto di planetarismo che si è tentato di promuovere durante la post-globalizzazione. “La democrazia è sotto attacco” e, con essa, la percezione della realtà stessa.

Fake news, attacchi informatici, trattamenti estetici per assomigliare ai filtri di Snapchat, dipendenze da schermo, disturbi alimentari e malattie psicotiche, queste sono solo alcune delle conseguenze verso le quali l’utilizzo inconsapevole della tecnologia ci sta conducendo. “Il capitalismo della sorveglianza ha plasmato politica e cultura in modi che per molti risultano impercettibili”. “Siamo passati dall’era dell’informazione all’era della disinformazione”, le fake news possono essere molto pericolose perché le persone che sono portate a darvi affidamento diventano un rischio per l’intera comunità. Il film non è tutto ombre e, fortunatamente, prospetta anche una possibile “soluzione del problema” facendosi portavoce di un modo efficace pensato da diversi studiosi per fermare gli ingranaggi di questa mastodontica macchina dell’eutanasia morale delle masse. Si tratta di un “nuovo piano per la tecnologia”, basato sull’etica, sul controllo limitato, sul rispetto della privacy, sulla consapevolezza del problema da parte degli utenti e il reclamo della propria dignità di consumatori.

“Quando ci si guarda intorno e sembra che il mondo stia impazzendo, bisogna chiedersi: tutto questo è normale? O siamo tutti sotto una specie di incantesimo? Vorrei che tutti capissero come funziona perché non dovrebbero saperlo soltanto gli addetti ai lavori” ___ Tristan Harris (ex designer di Google Inc).