Nelle strade di Tbilisi, nei mercati di Kakheti, appesi come lunghe candele colorate, i churchkhela oscillano al vento raccontando ottomila anni di tradizione vinicola. Questi dolci tradizionali georgiani a forma di candela sono realizzati con ingredienti semplici: mosto d’uva, noci e farina. Ma dietro questa apparente semplicità si nasconde un manufatto che ha sfamato eserciti, celebrato festività e incarnato l’identità di un’intera nazione.
L’eredità dei guerrieri di David il Costruttore
La storia del churchkhela risale a David IV di Georgia, conosciuto come David il Costruttore. Quando i guerrieri georgiani partivano per lunghe campagne militari, portavano con sé questi bastoncini di energia concentrata. Le donne georgiane inviavano tradizionalmente ai loro uomini il churchkhela da mangiare al fronte, per la sua dimensione pratica, la capacità di non ammuffire per lunghi periodi e la consistenza densa che mantiene sazi. Un singolo churchkhela conteneva calorie sufficienti per sostenere un uomo durante un’intera giornata di battaglia.
Durante gli scavi archeologici sono stati ritrovati recipienti di argilla per la conservazione del churchkhela, e le analisi chimiche hanno confermato che questo alimento viene prodotto in Georgia fin dall’antichità. Non era solo cibo: era sopravvivenza, identità, resistenza.
Il rituale della preparazione tra caldo e freddo
L’etimologia della parola churchkhela deriva dalla lingua megreliana: “chhur” significa “freddo” e “chkher” significa “caldo”, riflettendo i due passaggi essenziali nella preparazione. Le noci infilate vengono immerse ripetutamente in una massa calda e appiccicosa chiamata felamushi, poi raffreddate all’aria aperta per giorni.
Il processo inizia facendo bollire il succo d’uva a fuoco medio per 30 minuti, poi lasciandolo sobbollire per 10-12 ore. Il succo viene filtrato ed evaporato fino a raggiungere un contenuto di zucchero del 30-40%, riducendone l’acidità con l’aggiunta di farina di marmo o gesso. Dopo che il felamushi ha riposato per 5-6 ore, i sedimenti vengono drenati. Solo allora i fili di noci possono essere immersi nel felamushi addensato e riscaldato.
Questo processo viene ripetuto 2 o 3 volte nel corso di 2-3 ore. Le noci candite vengono poi sospese per le estremità dei fili su un supporto e lasciate asciugare in questa posizione per 15-17 giorni. Ci vogliono altri 2-3 mesi perché il sapore del felamushi diventi gradualmente più ricco e il churchkhela raggiunga il suo gusto ottimale.
Le varianti regionali tra est e ovest
Nella Georgia orientale, la produzione del churchkhela inizia con un succo condensato chiamato tatara, ottenuto dal mosto d’uva locale delle aree di Kakheti, Kartli o Meskheti, addensato con farina di grano. Il churchkhela kakhetiano, preparato con noci, è il più famoso e viene spesso chiamato lo “Snickers georgiano” per la sua capacità saziante.
Nella Georgia occidentale, un dolce simile al churchkhela si chiama janjukha. Nelle regioni di Guria, Samegrelo e Imereti, vengono utilizzate principalmente nocciole invece delle noci, e al succo condensato viene aggiunta farina di mais invece della farina di grano. In Abkhazia, una regione nel Caucaso settentrionale della Georgia, è conosciuto come Adzhindzhukhua nella lingua abkhaza locale.
Chi conosce il churchkhela autentico lo riconosce facilmente: non ha colori artificiali. Se vedete churchkhela verdi o blu, non sono naturali. L’uva bianca produce naturalmente un churchkhela di colore brunastro più chiaro, mentre l’uva rossa produce un colore marrone scuro.
Il tempo del rtveli, quando nascono i churchkhela
La tradizione della vendemmia risale ai tempi antichi. Una delle testimonianze più significative si trova nel sito archeologico di Dzalisi, che raffigura un mosaico a 12 colori del II secolo d.C. di Dioniso, il dio della vendemmia e della vinificazione. Questa connessione ancestrale tra uva, vino e cultura permea ogni aspetto della vita georgiana.
I georgiani solitamente producono il churchkhela in autunno quando vengono raccolti gli ingredienti primari: l’uva e le noci. Il rtveli, la vendemmia annuale, si svolge tra settembre e ottobre, quando le famiglie si riuniscono nei vigneti per raccogliere l’uva matura. È un momento di celebrazione che include musica tradizionale e banchetti conviviali chiamati supra.
Nei mercati di Kakheti, durante il periodo del rtveli, si vedono donne che tagliano grappoli maturi e li mettono nei cesti chiamati godori. Gli uomini caricano i camion con questi cesti che verranno poi portati alle cantine. Il rtveli è un processo vivace e allegro dove le persone raccontano barzellette e aneddoti. I kakhetiani sono noti per essere estremamente ospitali e molto gentili.
Un patrimonio riconosciuto dall’UNESCO
La tecnologia tradizionale del churchkhela nella regione di Kakheti è stata iscritta nella lista del Patrimonio Culturale Immateriale della Georgia nel 2015. Questo riconoscimento ufficiale ha consolidato il ruolo del churchkhela come simbolo dell’identità culinaria georgiana.
Nel 2013, l’UNESCO ha aggiunto l’antico metodo tradizionale georgiano di vinificazione che utilizza i qvevri, grandi contenitori di argilla per l’invecchiamento sotterraneo del vino, nelle liste del Patrimonio Culturale Immateriale. Il churchkhela è intrinsecamente legato a questa tradizione vinicola: entrambi rappresentano l’ingegnosità georgiana nel trasformare l’abbondanza della vendemmia in prodotti che possono durare mesi.
Dal campo di battaglia alla tavola delle feste
Oggi il churchkhela non è più solo una razione militare. È uno spuntino tra i pasti e viene servito anche come dessert durante le celebrazioni di Capodanno e Natale. I bambini georgiani lasciano il churchkhela per Tovlis Papa, il personaggio del folklore georgiano che porta doni ai bambini a Natale.
Il suo sapore dolce lo rende un ottimo accompagnamento per tè o caffè. Essendo un prodotto ad alto contenuto calorico ricco di proteine e vitamine, mantiene sazi per ore e costituisce quindi lo spuntino perfetto per gite in campeggio. Il churchkhela viaggia bene e può essere conservato per mesi, rendendolo un eccellente souvenir commestibile per parenti e amici.
Quando si visita la Georgia, il churchkhela è ovunque: nei bazar, nei piccoli negozi di alimentari, nei supermercati e persino nelle enoteche. Ma il churchkhela fatto in casa è sempre migliore di quello acquistato nei negozi. Nelle strade di Telavi, nel bazar, si possono vedere file di churchkhela appesi ad asciugare, con i loro colori che vanno dal marrone dorato al rosso scuro intenso, a seconda dell’uva utilizzata.
Quando si mangia il churchkhela, bisogna ricordarsi di estrarre il filo interno prima di addentarlo. La superficie esterna è gommosa e dolce, mentre le noci all’interno forniscono una croccantezza soddisfacente. Dopo alcuni mesi di stagionatura, può sviluppare quello che sembra una sottile polvere bianca sulla superficie: sono semplicemente cristalli di zucchero che si formano mentre il dolce invecchia.
Un filo dolce che unisce passato e presente
Il churchkhela e le sue varianti sono popolari in diversi paesi oltre alla Georgia, come Armenia, Azerbaigian, Turchia, Iraq, Siria, Iran, Cipro, Grecia, Russia, Ucraina e Bulgaria. Ma è in Georgia che questo dolce mantiene il suo significato più profondo, collegando generazioni di famiglie attraverso rituali stagionali immutati da secoli.
Ogni autunno, quando i vigneti di Kakheti si tingono d’oro e le famiglie si riuniscono per il rtveli, il ciclo continua. Le noci vengono infilate, il succo d’uva viene addensato, e nuovi fili di churchkhela vengono appesi ad asciugare sotto il sole del Caucaso. In questo gesto semplice e ripetuto si racchiude l’essenza della Georgia: resilienza, ospitalità, e un legame indissolubile con la terra e le sue stagioni.

Direttore editoriale di nonewsmagazine.com | Il magazine dell’ozio e della serendipità.
Direttore responsabile di No News | La free press dell’ozio milanese.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare agli amori sofferti tra le campagne inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo, c’è chi lo chiama “il fondamentalista del Loggione”. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita, tuttavia, rimane la Tosca.





































