L’automobile sembra fluttuare nel buio. Le luci degli abbaglianti accarezzano pareti di basalto scavate dall’ambizione umana, mentre il mare del Nord Atlantico preme silenzioso sopra la testa, oltre centocinquanta metri più in alto. Siamo nelle profondità dell’oceano, eppure viaggiamo su una strada asfaltata, attraversando quello che fino a pochi anni fa era dominio esclusivo di foche, merluzzi e correnti vorticose. Benvenuti alle Isole Faroe, dove l’ingegneria ha riscritto le regole della geografia e il viaggio diventa un’esperienza quasi mistica.

Quando le montagne si aprono e l’oceano si sottomette

Le Isole Faroe non sono mai state un luogo per anime timorose. Quest’arcipelago di diciotto isole sperdute tra Islanda e Norvegia, governato dalla Danimarca ma fieramente autonomo nello spirito, ha sempre chiesto ai suoi abitanti un patto faustiano con gli elementi. Qui, dove gli alberi non crescono per via dei venti implacabili che sferzano ogni centimetro di terra emersa, dove le tempeste dell’Atlantico settentrionale si abbattono con una ferocia ancestrale, vivere significava adattarsi o soccombere.

Per secoli, spostarsi da un’isola all’altra equivaleva a una sfida esistenziale. I traghetti dondolavano come gusci di noce tra le onde gigantesche, i viaggi venivano cancellati per settimane intere durante l’inverno, intere comunità rimanevano isolate quando il mare decideva di trasformarsi in una barriera invalicabile. Le montagne dalle pendici ripidissime rendevano impossibile costruire strade convenzionali, costringendo i villaggi a rimanere separati da pareti di roccia basaltica che si ergevano come sentinelle severe e impenetrabili.

Ma i faroesi, discendenti di vichinghi che non conoscevano la parola “impossibile”, hanno trovato una soluzione tanto audace quanto visionaria: se non puoi attraversare le montagne, bucale. Se non puoi navigare l’oceano in superficie, passa sotto. Oggi, ventuno tunnel attraversano l’arcipelago come vene di pietra e cemento, collegando comunità che un tempo vivevano in un isolamento quasi medievale.

L’arte nascosta nelle profondità marine

Il Sandoyartunnilin, inaugurato nel dicembre 2023, non è semplicemente un’opera ingegneristica. È un manifesto culturale scavato nella roccia, un museo sottomarino che trasforma un tragitto utilitaristico in un’esperienza sensoriale che confonde i confini tra realtà e sogno. Per dieci chilometri e ottocento metri, l’asfalto si snoda nelle viscere dell’Atlantico, collegando Streymoy e Sandoy in un viaggio che fino a poco tempo fa richiedeva mezz’ora di navigazione incerta.

Ma è quando le luci al neon cominciano a pulsare lungo le pareti che il tunnel rivela la sua vera natura. Raggi rossi, blu e bianchi disegnano pittogrammi luminescenti: cavalieri in armatura che rievocano le rovine della chiesa medievale di Kirkjubøur, sagome di pastori che guidano greggi fantasma, pescatori che lanciano reti nell’aria pietrificata, foche che nuotano nel basalto, bovini che pascolano nell’impossibile, uccelli che volano senza cielo. Sono le creature del folklore faroese, immortalate dall’artista Edward Fuglø, accompagnate da una colonna sonora eterea composta da Sunleif Rasmussen che trasforma l’abitacolo dell’auto in una capsula temporale sospesa tra passato e futuro.

“Volevamo che le persone non dimenticassero dove si trovano,” ha spiegato Teitur Samuelsen, amministratore delegato del progetto. “Il primo pittore conosciuto delle Faroe, Díðrikur á Skarvanesi, proveniva proprio da Sandoy nel diciannovesimo secolo. Dipingeva piccioni lunari, creature che abitavano la sottile linea tra realtà e mitologia. Questi simboli luminosi rompono la monotonia del viaggio, ma soprattutto ricordano che anche a centocinquanta metri sotto il fondale marino, siamo ancora nelle Faroe.”

La rotatoria dell’Atlantico e il portale alieno

Se il Sandoyartunnilin è poesia luminescente, l’Eysturoyartunnilin è pura fantascienza. Aperto nel dicembre 2020, questo complesso di tre diramazioni che si estendono per oltre undici chilometri collega Streymoy all’isola di Eysturoy, scendendo fino a centoottantanove metri sotto il livello del mare. Ma la sua caratteristica più strabiliante non è la profondità: è la prima e unica rotatoria sottomarina dell’Atlantico, un cerchio perfetto di asfalto dove i veicoli girano in tondo seicento piedi sotto la superficie dell’oceano, circondati da milioni di tonnellate d’acqua compressa dal peso del mare.

Attraversare questo tunnel significa sperimentare una sorta di spaesamento cognitivo. Le pareti si allargano improvvisamente in una caverna artificiale illuminata da luci che sembrano provenire da una dimensione parallela. La rotatoria appare come un mandala geometrico, un centro di gravità impossibile dove le leggi della topografia terrestre cedono il passo a una logica più profonda, più antica. Molti visitatori descrivono la sensazione di attraversare un “portale per un mondo alieno”, un varco dimensionale nascosto nelle profondità dell’Atlantico settentrionale.

L’impatto psicologico è amplificato dalla consapevolezza costante di dove ci si trova realmente. Non si tratta di un tunnel di montagna convenzionale: sopra quella volta di roccia frantumata e cemento armato, l’oceano vive la sua esistenza turbolenta, le correnti scorrono, le tempeste agitano le onde, le creature marine continuano il loro balletto millenario, ignare del fatto che gli esseri umani hanno violato il loro dominio con tunnel di pietra.

I sentieri del ranuncolo e la filosofia del viaggio lento

Ma non tutto nelle Faroe si svolge sottoterra. Alcune delle esperienze più memorabili dell’arcipelago accadono in superficie, dove le Sóljuleiðir – le “Vie del Ranuncolo” – serpeggiano attraverso paesaggi che sembrano dipinti da un dio malinconico nelle sue giornate più ispirate. Questi percorsi panoramici, identificati da cartelli stradali con un fiore giallo stilizzato, sono stati concepiti con una filosofia radicalmente diversa rispetto all’efficienza dei tunnel sottomarini.

Il ranuncolo palustre, o calendula palustre della famiglia Ranunculaceae, è il fiore nazionale delle Faroe. In un arcipelago dove gli alberi sono una presenza assente, dove i venti soffiano con una violenza tale da piegare ogni forma di vita verso il suolo, questo piccolo fiore giallo luminoso è diventato il simbolo della resilienza faroese. Cresce ovunque: sui prati che ricoprono i tetti delle case tradizionali, sulle creste delle montagne battute dal vento, persino sulle scogliere verticali dove il mare si infrange con fragore primordiale.

Le tredici Buttercup Routes mappate dal Ministero dei Trasporti, Landsverk, sono state progettate con un intento preciso: decongestionare il traffico turistico e guidare i viaggiatori verso quella rara quiete che ancora sopravvive negli angoli più remoti dell’arcipelago. Con circa centomila visitatori all’anno – il doppio dell’intera popolazione locale – le Faroe rischiano di essere soffocate dal proprio successo. Queste strade secondarie rappresentano una risposta intelligente: invitano i turisti a rallentare, a perdersi volontariamente, a scoprire villaggi dove il tempo sembra essersi fermato al diciannovesimo secolo.

Sørvágur e la strada che scompare nel nulla

Prendiamo, ad esempio, il percorso che si snoda da Sørvágur sull’isola di Vágar. La strada serpeggia in improbabili zig-zag, superando case dal tetto ricoperto di zolle erbose che sembrano escrescenze naturali del paesaggio piuttosto che costruzioni umane. I campi verde smeraldo si alternano a pareti di roccia scura, mentre pecore dalle facce nere brucano l’erba indifferenti al passaggio delle automobili. E poi, all’improvviso, senza preavviso, la strada scompare: un buco nero nella montagna, un tunnel che ingoia la luce del giorno e il visitatore si ritrova catapultato in un’oscurità totale per pochi istanti interminabili, prima di riemergere in un paesaggio completamente diverso, come se avesse attraversato non solo una montagna, ma anche un confine temporale.

Questi tunnel di montagna – diversi da quelli sottomarini sia nella concezione che nell’esperienza – sono stati costruiti a partire dagli anni Sessanta per risolvere un problema altrimenti insolubile: come collegare villaggi separati da montagne talmente ripide che qualsiasi strada convenzionale sarebbe stata un suicidio ingegneristico. Alcuni di questi passaggi sono a senso unico, con piazzole di scambio scavate nella roccia dove i veicoli provenienti da direzioni opposte devono coordinarsi in una danza automobilistica surreale.

L’architettura del futuro inscritta nel passato

Ciò che rende i tunnel delle Faroe così straordinari non è solo la loro audacia ingegneristica, ma anche la filosofia che li sottende. In un’epoca in cui il cambiamento climatico rende sempre più imprevedibili le condizioni meteorologiche, in cui le tempeste atlantiche aumentano di intensità e frequenza, questi passaggi sotterranei rappresentano una forma di resilienza infrastrutturale che altri territori costieri dovrebbero studiare con attenzione.

La compagnia pubblica P/F Eystur- og Sandoyartunlar, interamente controllata dal Ministero dei Trasporti e fondata dopo una crisi politica che aveva paralizzato progetti precedenti di stampo privatistico, gestisce ora i tunnel sottomarini con una visione a lungo termine. Gli investimenti sono stati colossali – oltre un miliardo di corone danesi per il solo Eysturoyartunnilin – ma il ritorno non si misura semplicemente in termini economici. Si misura in comunità che non sono più isolate, in bambini che possono raggiungere la scuola anche nelle peggiori tempeste invernali, in ambulanze che possono arrivare ovunque senza dipendere dai capricci del mare.

Ma c’è anche un costo: un pedaggio che i viaggiatori devono pagare per attraversare i tunnel sottomarini. Una scelta pragmatica che finanzia la manutenzione continua richiesta da opere che sfidano quotidianamente le leggi della natura. Eppure, nessuno si lamenta. Perché quando l’alternativa è rimanere bloccati per giorni in attesa che una tempesta si plachi, qualche corona danese sembra un prezzo irrisorio per la libertà di movimento.

Il silenzio dell’arcipelago e il futuro già arrivato

Viaggiare nelle Faroe significa confrontarsi con un paradosso: da un lato, un’infrastruttura ultramoderna che sembra provenire da un futuro tecnologico; dall’altro, una natura primordiale che non ha ancora dimenticato l’epoca in cui l’uomo era solo un ospite marginale e tollerato. È possibile guidare per chilometri senza incontrare un’anima viva, attraversando paesaggi dove l’unico suono è il fischio del vento e il grido distante dei gabbiani. Poi, all’improvviso, si scende in un tunnel sottomarino illuminato al neon, si attraversa una rotatoria seicento piedi sotto l’oceano, e si riemerge in un villaggio di poche decine di anime dove le case hanno ancora il tetto di torba e le barche di legno sono tirate a secco sulla spiaggia come duecento anni fa.

È questo contrasto stridente, questa coesistenza impossibile tra ipermoderno e ancestrale, che rende le Faroe un luogo unico al mondo. Un laboratorio dove l’umanità sta sperimentando nuovi modi di abitare territori marginali, dove la tecnologia non serve a dominare la natura ma a trovare un equilibrio sostenibile con essa. I tunnel non hanno sconfitto l’oceano: hanno semplicemente trovato un modo per coesistere con la sua potenza, scivolando sotto le onde senza disturbarle, come un piccione lunare che attraversa la notte senza disturbare le stelle.

Le Isole Faroe non sono una destinazione per chi cerca comfort prevedibili o panorami rassicuranti. Sono un viaggio nell’ignoto, un confronto con forze naturali che mettono in prospettiva la fragilità umana. Ma sono anche una dimostrazione che l’ingegno e il coraggio possono aprire porte dove sembravano esistere solo muri. Ogni tunnel è una dichiarazione di guerra contro l’isolamento, ogni rotatoria sottomarina è una vittoria contro l’impossibile, ogni Buttercup Route è un invito a rallentare e ricordare che il viaggio stesso è la destinazione.

Quando finalmente risalirai dal Sandoyartunnilin, emergendo dalla caverna decorata come un tempio sotterraneo alla luce abbagliante di una giornata faroese – quella luce grigio-argento filtrata da nuvole perenni che rende ogni colore più intenso, quasi irreale – avrai la netta sensazione di essere stato altrove. Non solo sotto l’oceano, ma anche fuori dal tempo ordinario, in uno di quei luoghi rari dove il pianeta ti ricorda che la sua capacità di stupire è inesauribile.