Tratto dal racconto autobiografico di Ágota Kristóf lo spettacolo è un progetto di Fanny & Alexander e Federica Fracassi (che interpreta l’autrice), con la regia di Luigi Noah De Angelis e drammaturgia di Chiara Lagani.
L’intenso monologo basato sull’autobiografia di Ágota Kristóf ha come ambientazione il suo tavolo di operaia in una fabbrica di orologi in Svizzera, dove si è rifugiata dopo essere fuggita dall’Ungheria.
Per Ágota, la fabbrica è paradossalmente un luogo dove può pensare e scrivere poesie. Nel suo cassetto, tiene un foglio e una matita. Da rifugiata, sradicata dalla sua terra è costretta a vivere in un luogo dove non conosce la lingua, che sente come un “nemico”. In fabbrica, il ticchettio ossessivo delle macchine è l’unico ritmo, e le parole si riescono a scambiare solo nelle brevi pause in bagno dove le colleghe le spiegano a gesti il significato dei termini per lei stranieri.
Per raccontare il suo trauma e sé stessa, la donna si “inventa delle maschere” e lo spettatore si ritrova a vagare tra la sua realtà di operaia e i mondi dei suoi romanzi (diventa per un attimo i suoi personaggi come Lucas, Claus, Sandor), in un limbo tra sogno e ricordo d’infanzia. Per questo la protagonista, pur essendo una scrittrice, si definisce “analfabeta”, perché deve esprimersi in una lingua che non ha scelto, impostale dalle circostanze. La performance esplora con lucidità la sua storia di esilio, sradicamento e atrocità.
L’interpretazione di Federica Fracassi é davvero coinvolgente per la fedeltà straordinaria e la capacità di incarnare l’autrice offrendo una performance di grande “precisione della voce e del corpo” che offre allo spettacolo una straordinaria intensità emotiva; al tempo stesso un omaggio alla scrittrice e un’immersione in un universo spezzato e silenzioso, dove la parola è una conquista.
Damiano Meacci ha curato l’ambientazione sonora: in particolare il ticchettio ossessivo e disturbante degli orologi (un’ora di ticchettio ininterrotto!), a cui spesso si sovrappone il suono grave dei macchinari, crea un “habitat” sonoro immersivo che riflette la condizione emotiva dell’esilio e della solitudine.
In sintesi, lo spettacolo ha un forte impatto emotivo e un grande livello interpretativo, entrambi molto apprezzati dal pubblico posto di fronte ad un’esplorazione lucida dei temi universali dell’esilio e dello sradicamento vinti, a poco a poco ma non completamente, dalla conquista di una modalità espressiva attraverso l’uso di una lingua diversa (il francese in questo caso, idioma in cui sono scritti tutti i libri di Ágota Kristóf).




































