Omicidio all’italiana, Maccio Capatonda, Herbert Ballerina e la satira all’informazione mediatica nostrana. Il film è al cinema dal 2 marzo.

Approfittando della morte accidentale di una contessa residente ad Acitrullo, il sindaco Peluria e suo fratello inscenano un caso di omicidio per portare i riflettori della cronaca sul paese sperduto tra i monti abruzzesi. 

Per certi versi quella di Maccio Capatonda è una sorta di rinascita. Italiano medio, pur avendo divertito parte del pubblico, ha lasciato qualche perplessità per la comicità demenziale oscurata da un “non so chè” di troppo costruito e pretenzioso, uno svilimento conforme al panorama comico di un cinema italiano ormai alla deriva del volgare.

Omicidio all’italiana rispolvera felicemente quell’interazione stupida e genuina con il suo pubblico, sinceramente manicomiale, che fa da specchio riflettente dei vecchi e antichi successi del mondo capatondiano. Non si parla di un semplice rispolverare il passato, ma di un ritorno rinfrescato, con qualche traccia (mai fastidiosa) di convenzionalismo che consente sia di riempire le sale, sia di soddisfare le pretese di chi il percorso di Marcello Macchia e compagnia lo conosce bene. 

I fratelli Peluria, personaggi grotteschi ripresi dal contesto televisivo di “Mario” (ma solo per il nome) vengono inseriti nel contesto frastornante e rumoroso di una società affascinata dalla tragedia, dai programmi televisivi con impronta seriosa che in troppi casi si affiancano alle vere indagini della polizia, qualche volta superandole anche. Omicidio all’italiana estremizza comicamente quella certa tendenza dello spettatore medio italiano. Raggiunge punti di picco (e si ride davvero) grazie ad astuti giochi di parole originali ed intelligenti. Nel film non mancano frecciatine dirette alla politica che soggiace e si alimenta attraverso il populismo sfrenato, segno dell’attenzione culturale dell’autore rispetto al proprio tempo. Non manca neanche il finale carico di sorpresa che sembra riferirsi cinematograficamente ad altre pellicole Hollywoodiane decisamente poco più serie, sintesi capatondiana di Norman Bates di Psycho e l’uomo dalle personalità multiple del recentissimo Split. Ma non sveliamo altro. 

Ma un film caparbio e ostinato sulla critica contemporanea sarebbe stato una goccia nel mare. Maccio Capatonda sceglie di prendere tutto ciò solo come sfondo, una scenografia in cui far muovere i suoi personaggi brillantemente idioti e dai costumi semplici, persi ( e forse salvi) in quei luoghi dimenticati dai media, quei “paesi dei coppoloni” che piacciono tanto a Vinicio Capossela.