C’è un filo invisibile che attraversa continenti e culture, un linguaggio universale che trascende barriere linguistiche e differenze religiose: il modo in cui onoriamo i nostri morti. Mentre in Occidente siamo abituati a cerimonie sobrie, contenute nel loro dolore e nella loro formalità, esistono luoghi nel mondo dove la morte non rappresenta una fine, ma una trasformazione. Dove il lutto si tinge di colori vivaci, dove i corpi dei defunti vengono riesumati per danzare con i vivi, dove le bare diventano opere d’arte sospese tra cielo e terra.

Questo reportage vi porterà in un viaggio attraverso alcune delle pratiche funerarie più straordinarie del pianeta, testimonianze di come l’essere umano abbia saputo trasformare l’inevitabilità della morte in un’opportunità per celebrare la vita, rinsaldare legami familiari e mantenere vivo il dialogo con gli antenati.

Le bare fantasiose del Ghana: quando l’ultimo viaggio diventa un’opera d’arte

Sulle colline costiere del Ghana, tra il popolo Ga della regione di Accra, la morte si celebra con un’esplosione di creatività che ha dell’incredibile. Le bare tradizionali vengono sostituite da elaborate sculture lignee che rappresentano l’essenza del defunto: un pescatore riposa in una bara a forma di pesce, un pilota in un aeroplano colorato, un contadino di cacao in un gigantesco baccello di cacao.

Queste abebuu adekai – letteralmente “scatole proverbiali” nella lingua Ga – sono molto più di semplici contenitori funebri. Rappresentano un ponte tra questo mondo e l’aldilà, incarnando la convinzione che la vita continui oltre la morte esattamente come sulla terra. Un commerciante potrebbe essere sepolto in una bara a forma di automobile di lusso, una donna elegante in una scarpa col tacco, un appassionato di musica in una chitarra gigante.

La tradizione moderna delle bare fantasiose nacque negli anni Cinquanta grazie a un falegname di nome Seth Kane Kwei. La leggenda narra che tutto iniziò quando un capo tribù ordinò un palanquino a forma di baccello di cacao, ma morì prima di poterlo utilizzare. Il palanquino fu quindi convertito in una bara. Quando la madre di Kwei morì, affascinata dagli aerei che sorvolavano la sua casa, il falegname costruì per lei una bara a forma di aeroplano, permettendole di volare ovunque desiderasse nell’aldilà.

Le abilità di Kwei furono tramandate ai suoi figli e al nipote, mentre alcuni dei suoi apprendisti, come il celebre Paa Joe, fondarono proprie botteghe di bare fantasiose ad Accra. Le creazioni di Paa Joe sono state esposte al prestigioso American Folk Art Museum di New York.

Ogni bara richiede dalle due alle sei settimane di lavoro artigianale, senza l’uso di utensili elettrici. Gli artigiani scolpiscono il legno locale con maestria secolare, creando opere che catturano l’immaginazione. I funerali ghanesi sono eventi sociali monumentali che possono durare giorni e costare fino a 16.000 sterline, con centinaia o migliaia di partecipanti provenienti da ogni angolo del paese. La bara fantasiosa viene svelata solo il giorno del funerale, in un momento carico di emozione e stupore.

La filosofia sottostante è profonda: seppellendo i morti in un contenitore che li connette al loro lavoro terreno, si assicura loro l’occupazione scelta nella prossima vita. Per il popolo Ga, gli antenati defunti sono considerati molto più potenti dei vivi e possono influenzare profondamente la vita dei loro discendenti.

Bare sospese tra cielo e terra: l’antica tradizione dei monti Sagada

Lasciamo le coste dell’Africa occidentale per dirigerci verso le montagne nebbiose delle Filippine settentrionali, dove il popolo Igorot di Sagada ha sviluppato una delle pratiche funerarie più spettacolari e vertiginose del pianeta: le bare sospese.

Da oltre duemila anni, gli anziani Igorot intagliano le proprie bare da tronchi cavi quando sono ancora fisicamente in grado di farlo. Se sono troppo deboli o malati, sono i familiari a preparare i feretri. Una volta che la persona muore, il corpo viene preparato secondo un rituale elaborato e antico.

Il defunto viene posizionato su una sedia di legno chiamata sangadil e legato con liane di rattan, poi coperto con una coperta. Il cadavere viene affumicato per prevenire la decomposizione rapida e mascherare l’odore della putrefazione. Prima della sepoltura, il corpo viene assicurato in posizione fetale, con le gambe spinte verso il mento – una rappresentazione simbolica del ritorno al grembo materno e dell’ingresso nel mondo così come se ne esce.

Ma è il momento della processione funebre a risultare particolarmente toccante. I fluidi corporei del defunto sono considerati portatori di buona fortuna e delle abilità del deceduto, quindi i partecipanti al corteo fanno del loro meglio per venire a contatto con il corpo, credendo che questo trasferisca successo e talenti.

Le bare vengono poi appese all’interno di grotte o sulla faccia delle scogliere, vicino alle bare dei loro antenati. La ragione era la convinzione che più in alto fossero posti i morti, maggiore fosse la possibilità per i loro spiriti di raggiungere una natura superiore nell’aldilà. Alcuni dei feretri appesi hanno oltre un secolo e col tempo si deteriorano, cadendo dalle loro posizioni precarie.

Secondo la tradizione, solo gli Igorot di sangue puro che hanno raggiunto almeno ottant’anni, che sono stati sposati, hanno avuto figli o nipoti e sono morti di cause naturali possono essere sepolti in questo modo. La pratica serve anche uno scopo pratico: proteggere i corpi dalle inondazioni, dagli animali selvatici e, un tempo, dai cacciatori di teste di villaggi nemici.

Oggi questa tradizione millenaria sta lentamente scomparendo. Le generazioni più giovani hanno adottato modi di vita moderni e sono influenzate dalle profonde convinzioni cristiane del paese. I bambini vogliono ricordare i nonni ma preferiscono seppellirli nel cimitero e visitare le loro tombe durante la festa di Ognissanti. L’ultima sepoltura tradizionale con bara sospesa risale al 2010.

Famadihana: danzare con i morti nelle highlands del Madagascar

Se le bare sospese rappresentano una separazione fisica tra vivi e morti, il famadihana del Madagascar rappresenta l’esatto opposto: una riunione gioiosa che cancella temporaneamente il confine tra i due mondi.

Durante questa cerimonia, conosciuta come “il rivolgimento delle ossa”, le persone riportano i corpi dei loro antenati dalle cripte familiari, riavvolgono i cadaveri in tessuti freschi e riscrivono i loro nomi sul tessuto affinché siano sempre ricordati. Poi danzano con musica dal vivo mentre portano i cadaveri sopra le loro teste.

Il famadihana si svolge tipicamente ogni cinque-sette anni durante i mesi invernali secchi del Madagascar, da giugno a settembre. Le famiglie viaggiano per giorni a piedi per raggiungere la cripta ancestrale nelle colline dell’altopiano centrale, dove hanno luogo le cerimonie. Spesso l’intero villaggio celebra il famadihana contemporaneamente, creando un’atmosfera di festa collettiva.

La filosofia alla base è profondamente radicata nelle credenze Malagasy sulla morte e l’aldilà. Per il popolo Malagasy, lo spirito può viaggiare nell’aldilà solo quando il corpo si è completamente riunito con la terra e le ossa si sono trasformate in polvere. Fino a quel momento, lo spirito rimane parte di questo mondo e deve essere curato dai vivi.

I corpi vengono accuratamente estratti dalle tombe, vengono rimossi i vecchi sudari di sepoltura e i cadaveri vengono avvolti in nuovi tessuti di seta chiamati lamba mena. È un momento intimo e sacro: le famiglie parlano con le ossa dei loro antenati, aggiornandoli sulle ultime notizie familiari, condividendo traguardi importanti e cercando guida o benedizioni.

Poi inizia la celebrazione vera e propria. La musica ad alto volume riempie l’aria, le lacrime di tristezza si trasformano in lacrime di gioia mentre le famiglie raccontano storie dei loro genitori e nonni. Bambini e adulti accarezzano amorosamente i corpi avvolti nel tessuto dei loro antenati e presto iniziano a danzare.

Prima del tramonto, i corpi vengono restituiti alla tomba e posizionati a testa in giù per chiudere il ciclo di vita e morte. Insieme ai defunti vengono seppelliti doni di denaro, cibo e alcol per mantenerli ben curati fino al prossimo rivolgimento delle ossa.

Il famadihana è anche un’occasione fondamentale per la riunione familiare. Membri della famiglia che vivono in regioni lontane si ritrovano, i neonati e i nuovi membri acquisiti vengono presentati agli antenati. Le donne che hanno difficoltà a concepire possono prendere frammenti del vecchio sudario di un antenato e posizionarli sotto il materasso o persino mangiarli per indurre la gravidanza, cercando la benedizione del defunto.

Tradizionalmente, il famadihana era uno dei rituali di morte comunitari più significativi in Madagascar e parte integrante delle credenze spirituali delle persone. La pratica è ora in declino, in parte a causa dell’opposizione di alcune organizzazioni cristiane, e in parte a causa dell’enorme spesa delle celebrazioni.

Il jazz funerale di New Orleans: quando la morte diventa musica

Attraversiamo l’oceano per approdare nelle strade vivaci di New Orleans, Louisiana, dove il lutto incontra il ritmo sincopato del jazz in una delle tradizioni funebri più iconiche d’America: il jazz funeral.

Questa particolare tradizione affonda le radici nel passato coloniale della Louisiana, dove le pratiche spirituali africane si sono fuse nel tempo con le tradizioni francesi e spagnole e le consuetudini culturali afroamericane. All’inizio del XX secolo, i funerali jazz erano una pratica abituale per molti membri della comunità afroamericana, anche se oggi sono principalmente allestiti per musicisti o persone legate al mondo della musica.

Un funerale jazz inizia con una marcia solenne. Familiari, amici e una banda di ottoni partono in processione dall’abitazione del defunto, dalla sede delle onoranze funebri o dalla chiesa, dirigendosi verso il cimitero. Durante questa prima fase, la banda esegue canti funebri come “Nearer My God to Thee” o spiritual come “Just a Closer Walk With Thee”. L’atmosfera è ancora contenuta, rispettosa del dolore della perdita.

Ma dopo che il defunto è stato sepolto, la musica cambia radicalmente. Diventa allegra, assume una funzione catartica e incoraggia la danza in quella che viene chiamata la “second line” – la processione di ritorno. Si inizia con un inno o un canto spirituale e poi si passa a brani popolari gioiosi. Tra i pezzi più gettonati figurano “When the Saints Go Marching In” e “Didn’t He Ramble”.

Questa trasformazione musicale rappresenta una filosofia profonda: la vita deve essere celebrata, non solo pianta. La morte è vista come una liberazione, un passaggio verso una dimensione migliore. Gli astanti iniziano a ballare, battere le mani, muoversi al ritmo contagioso della musica. È un momento di liberazione collettiva, dove il dolore si trasforma in celebrazione della vita vissuta.

Il corteo diventa una festa di strada, con persone che si uniscono spontaneamente alla processione, ballando e cantando. Gli ombrelli decorati – spesso bianchi o colorati – vengono agitati nell’aria, creando un’immagine visivamente spettacolare che è diventata simbolo della città di New Orleans.

Questa tradizione dimostra come la morte possa essere affrontata non con terrore o disperazione, ma con un’affermazione gioiosa della vita e della comunità. È un ricordo potente che anche nei momenti più oscuri, c’è sempre spazio per la musica, la danza e la celebrazione dello spirito umano.

Riflessioni su morte e identità culturale

Questi rituali straordinari ci ricordano che il modo in cui affrontiamo la morte dice molto su come concepiamo la vita. Le bare fantasiose del Ghana celebrano l’individualità e l’identità professionale che ci definisce. Le bare sospese degli Igorot rappresentano il desiderio di avvicinarsi al divino e proteggere i morti. Il famadihana malgascio mantiene vivo il legame tra generazioni, rifiutando l’idea che la morte rappresenti una separazione definitiva. Il jazz funerale di New Orleans trasforma il lutto in celebrazione comunitaria.

In un’epoca in cui la morte è spesso medicalizzata e nascosta, queste tradizioni offrono prospettive alternative che potrebbero arricchire il nostro rapporto con la mortalità. Ci insegnano che onorare i morti non significa necessariamente indulgere nel dolore, ma può significare celebrare la vita vissuta, mantenere vivi i legami familiari attraverso le generazioni e trovare bellezza anche nell’inevitabilità della fine.

Visitare questi luoghi e partecipare – con rispetto – a queste cerimonie significa immergersi in una dimensione dove il confine tra vita e morte diventa permeabile, dove gli antenati continuano a essere parte attiva della comunità, dove la creatività umana si manifesta anche nell’ultimo addio.

Sono tradizioni che resistono alla modernizzazione, alcune più di altre, ma tutte testimoniano la straordinaria capacità dell’essere umano di trovare significato, bellezza e persino gioia nell’evento più universale e inevitabile della nostra esistenza.