Stefano Mordini e Riccardo Scamarcio si fanno portavoce, nel loro piccolo, della nostra nazione al più grande festival del cinema del mondo.
Pericle il nero, in gara nella sezione “Un certain regard“, è un film drammatico-noir che riporta in vita il tenebroso personaggio dell’omonimo romanzo di Ferrandino.
Pericle Scalzone è un sicario dai metodi particolari. “Fa il culo alla gente” e lo fa sul serio, sodomizzando le sue vittime. Durante uno dei suoi incarichi si scaglia contro la sorella di qualcuno che nella malavita conta almeno quanto la gente per cui lavora. Costretto a scappare, Pericle vaga verso l’ignoto, cercando nuove strade e facendo luce sul suo passato ancora oscuro.
Se Pericle il nero è la voce del cinema Italiano a Cannes, facciamo meglio a riavvolgere la bandiera e farci da parte. Tecnicamente impeccabile, un film girato con cura e talento che si lascia però dietro un’insormontabile caterva di problemi.
E i problemi nascono dal cuore della vicenda. Un filone insipido che lascia con dubbi e perplessità. Perché seppure girato davvero bene, il film di Mordini scorre con gran lentezza, perde di continuo il mordente per poi ritrovarlo a caso, proprio nell’istante in cui lo spettatore più irriverente stava per conciliarsi con Morfeo. La trama, si capisce subito, è sulle montagne russe ma solo in discesa, non c’è mai salita, non c’è fine nella vicenda raccontata da Mordini. Se il senso dell’intera confezione non sta nel seguire Pericle nella sua odissea priva di qualsiasi Itaca, non possiamo comunque giustificare la pellicola analizzando il percorso interiore del personaggio di Scamarcio e di tutte le sagome di contorno. Sagome, solo sagome, messe a caso, delle marionette, figure di cartone a grandezza d’uomo prive di sfumature o letture poco più complesse.
Interessante è l’infantilismo del protagonista, le smorfie, l’ingenuità con cui si pongono le domande, il non essere riusciti a crescere completamente.
Pericle non è affatto in grado di cambiare e questo lo suggerisce tutto all’interno della sua storia. Leziosa e stridente quindi è la scena finale in cui Pericle decide di non sodomizzare chi lo ha tradito, ostentando quel tipo di buonismo che non convince mai nessuno. Pericle fa il culo alla gente di mestiere perché sa fare solo questo; seguendo questa logica forse sarebbero stati limitati i danni. Non ci convince neanche il personaggio di Marina Foïs, la giovane madre separata e sola, come Pericle, che gli suggerisce una forma di redenzione, una nuova vita; solita dinamica vista al cinema troppe volte.
Ottima l’interpretazione di Scamarcio che da l’impressione di autogestirsi totalmente sul set. A questo punto non resta altro da fare che chiedersi se l’intero progetto non sia stato montato sul soggetto sbagliato.
Sparati tutti i proiettili, auguriamo comunque a Scamarcio e Mordini un buon Festival.