Sabato sera a Parigi, seduta nella penombra della location scelta da Rei Kawakubo per presentare la collezione Comme des Garçons Spring Summer 2026, ho sentito qualcosa cambiare nell’aria. Non era solo l’attesa che precede ogni sfilata della maestra giapponese, ma una tensione diversa, quasi elettrica. Quando la prima modella è apparsa sulla passerella stretta e dal soffitto basso, con il suo cilindro di paglia ammaccato che sfiorava le travi in cemento, ho capito che stavamo per assistere a qualcosa di straordinario.
“After the dust”, dopo la polvere: questo il titolo che Kawakubo ha scelto per la sua ultima creazione. E mai titolo fu più evocativo. Le creazioni che hanno sfilato davanti ai miei occhi sembravano emergere letteralmente dalle macerie di un mondo dimenticato, eppure portavano con sé una dignità mozzafiato, una bellezza così inaspettata da togliere il fiato.
L’arte di trasformare l’umile in sublime
Ho osservato tessuti poveri – juta, calicò, tele grezze – trasformarsi in sculture da indossare. Kawakubo li ha avvolti, arrotolati, stratificati in forme a bouffant che ricordavano palline di gelato impilate una sull’altra, solide e architettoniche. Mai avrei pensato che la juta potesse diventare così affascinante, così desiderabile. Eppure eccola lì, plasmata in volumi impossibili che sfidavano ogni logica della sartoria tradizionale.
La designer ha distribuito dopo lo show una nota che recitava: “Credo nella positività e nel valore che possono nascere dal danneggiamento delle cose perfette”. Queste parole hanno risuonato in me mentre ripensavo ai cilindri di paglia deliberatamente ammaccati, ai capelli color zucchero filato – rosa shocking e giallo intenso – delle modelle, ai fasci di detriti portati con orgoglio sulla testa come corone regali.
Sopravvissute o rivoluzionarie
Chi erano queste donne che camminavano con tale fierezza nella loro improbabile magnificenza? Sopravvissute a un’apocalisse che hanno trasformato in occasione di rinascita? Fuggitive da qualche persecuzione in terre desertiche che hanno fatto dei loro stracci un manifesto di resistenza? Kawakubo non ci dà risposte definitive, e proprio in questa ambiguità risiede il fascino ipnotico della collezione.
Ho visto appendici a forma di stella marina pendere dai costrutti tessili, ho osservato quello che sembravano cuscini da divano impilati trasformarsi in abiti statuari. C’erano tovaglioli di carta, pluriball, ritagli di stoffa assemblati con una logica che appartiene solo al genio visionario di Kawakubo. E tutto appariva magnifico, assolutamente magnifico.
La grazia nell’imperfezione
Raramente si ride durante una sfilata di Comme des Garçons, eppure sabato sera è successo. Quando le modelle hanno dovuto piegarsi a quarantacinque gradi per evitare che i loro imponenti cappelli di paglia urtassero le travi del soffitto e le luci al neon, il pubblico ha trattenuto il respiro e poi ha esploso in un’ovazione collettiva. Era un incoraggiamento, un tifo affettuoso per quelle amazzoni contemporanee che navigavano lo spazio angusto con la stessa grazia con cui si muoverebbero su una passerella convenzionale.
Questo episodio apparentemente marginale racchiude l’essenza della visione di Kawakubo: la bellezza non sta nella perfezione, ma nella capacità di adattarsi, di esistere magnificamente anche quando le circostanze sono avverse. Quelle modelle piegate, ma non sconfitte, incarnavano perfettamente il messaggio della collezione.
Il tessuto come materia prima dell’immaginazione
Mentre questa stagione parigina molti designer hanno sperimentato con cotone e lino per creare silhouette grandiose, Kawakubo ha spinto il concetto molto più in là. Ha preso materiali che normalmente relegate ai retroscena della produzione – la juta dei sacchi, il calicò grezzo – e li ha elevati a protagonisti assoluti. Non come statement politico forzato, ma come naturale evoluzione del suo linguaggio estetico.
L’atteggiamento make-do-and-mend, il ripara-e-arrangiati della necessità, si è trasformato nelle sue mani in un make-do-and-dazzle: aggiusta e abbaglia. Ogni creazione portava in sé la memoria di un utilizzo precedente, di una vita vissuta, eppure si presentava rinnovata, pronta per un’esistenza completamente diversa.
Il potere discreto dei maestri giapponesi
Uscendo dalla sfilata, mentre tutti gli occhi della settimana della moda parigina sono puntati sui grandi debutti nelle maison storiche, ho pensato che potrebbero essere proprio i pilastri della contingente giapponese – Kawakubo in testa – a lasciare tutti gli altri nella polvere. Quella stessa polvere da cui è emersa questa collezione straordinaria.
Non c’è bisogno di dichiarazioni roboanti o di campagne social aggressive quando si possiede la capacità di convocare la grazia dai materiali più inaspettati, di creare poesia visiva da forme astratte. Rei Kawakubo continua a dimostrare, stagione dopo stagione, che la vera innovazione non sta nel gridare più forte, ma nel sussurrare verità così potenti che il mondo intero si ferma ad ascoltare.
Ho lasciato quella passerella stretta e quel soffitto basso con la certezza di aver assistito a qualcosa che ricorderò. Non solo una collezione, ma una lezione di filosofia indossabile: dalla distruzione può nascere bellezza, dall’imperfezione può emergere magnificenza, e dalla polvere può sorgere tutto ciò che ancora dobbiamo immaginare.