Cuties (Mignonnes, Francia, 2020) è, innanzitutto, la storia di Amy (Fathia Youssouf), una ragazzina franco-senegalese di 11 anni e della sua famiglia tradizionalista alle prese con una situazione complessa.
Il capofamiglia è pronto a sposare la sua seconda moglie, mentre la prima, con l’aiuto di Amy si prende cura dei figli. Questa la goccia che fa traboccare il vaso, insieme alla consapevolezza del cambiamento fisico: la ragazzina percepisce la sofferenza materna, sviluppando un consequenziale astio nei confronti del padre (mai presente, solo nominato), il tutto in sintonia con l’inevitabile avanzare della pubertà. La concatenazione di questi eventi, uniti al contesto socio-culturale estremamente contemporaneo conduce verso una direzione non banale, ma neanche fuori dall’ordinario: Amy decide di voler entrare, a tutti i costi, nel gruppo delle ragazze “cool”, coetanee appassionate di danza ̶ non quella classica, ma quella tik tokana o simil child beauty pageant made in U.S.A. ̶ il cui sogno è quello di vincere un contest, appunto, di ballo.
Nulla di strano fin qui, se non fosse per l’orda di critiche negative riversatasi sul film e sulla regista Maïmouna Doucouré, a cominciare dalla locandina, sino alla storia in sé e al lancio della petizione su Change.org che ha raggiunto, in breve tempo, 70 mila firme volte, appunto, a boicottare la celebre piattaforma streaming, incitando a cancellare l’abbonamento. Virale è diventato l’hashtag #cancelnetflix, così come i tweet che testimoniano l’annullamento dell’abbonamento. Tra i sostenitori di questa spietata crociata, frutto di un evidente ̶ e già visto ̶ isterismo collettivo, anche democratici progressisti e alcune femministe radicali, mentre l’appoggio maggiore è pervenuto da QAnon, il gruppo di complottisti statunitensi, secondo cui tutti i capi di Stato sovranisti sono dei satanisti pedofili, infiltrati in politica, si intende. Da uno sdegno di discrete dimensioni si è arrivati, insomma, a una vera e propria lotta virtuale contro la pedo-pornografia.
“Cuties è un commento sociale contro la sessualizzazione dei bambini (…)”, ha dichiarato Netflix in risposta alle polemiche “(…) è un film premiato e una storia potente sulla pressione che le giovani ragazze subiscono sui social media e più in generale dalla società in crescita. Incoraggiamo chiunque abbia a cuore queste importanti tematiche a guardare il film”.
Le parole del colosso streaming e della regista nono sono bastate a placare gli animi irati: stando ai dati raccolti da YipitData (via Variety) il tasso di cancellazione è salito di quasi otto volte rispetto ai livelli medi giornalieri registrati ad agosto 2020, segnando un record nell’arco degli ultimi cinque anni. Una reazione forse inaspettata, ma prevedibile: pensiamo alle ammiccanti coreografie delle giovani ragazze, dai tentativi di twerk a movimenti e sguardi espliciti, tutto copiato e davvero poco sentito (il potere dei social network!). Prevedibili in una realtà, la nostra, dove tutto ciò è ordinario e reale, nonché interconnesso alla denuncia contro la pedofilia e l’abuso di minore.
Perché ora? Questa la vera domanda da porci per tradurre la vicenda in questione. La risposta vien da sé: i social ci impongono di schierarci dalla parte dei giusti e del giusto, denunciando ̶ spesso seguendo la massa senza capire ̶ qualsiasi forma di violenza, razzismo e così via.
Azioni nobili, senza dubbio, ma ripetitive, omologate e degeneranti, soprattutto se pensiamo che temi del genere hanno costituito materiale filmico per molte altre celebri produzioni, pensiamo a Little Miss Sunshine (2006) o al nostrano Ricordati di me (2003). Cosa rende, allora, Cuties diverso? Una maggiore esplicità e il fatto che la stessa sia stata promossa e validata dal Signor Netflix. Quindi, in realtà, il film (premiato al Sundance) non è altro che lo specchio della gioventù odierna, tra un tik tok e una Kardashian story, e il suo intento è palesemente quello di raccontare, nel modo più schietto e sincero possibile, questa porzione attualissima di realtà. Nulla di piacevole e confortante risiede nelle movenze provocanti di ragazzine undicenni, ed è questo senso di disagio ̶ con redenzione finale ̶ che il film rende palpabile: si tratta dell’ennesima (e giusta) denuncia rivolta verso un mondo alla rovescia, pericoloso e umiliante, ma anche e soprattutto inconsapevole, nell’ottica di una società esclusiva, discriminante e razzista… la nostra.
Da notare, infine, la marginalità e quasi assenza delle figure maschili nel film, così come quelle genitoriali, troppo impegnate a fronteggiare i problemi della LORO generazione. È così che il racconto fa spazio a un mondo prevalentemente femminile, eterogeneo, moderno e sconfortante. E non poteva esserci titolo italiano, Donne ai primi passi, più fuorviante dall’epoca di Se mi lasci ti cancello: nulla di quello che viene mostrato nel racconto filmico è una tappa nel processo del diventar donna, le ragazzine del film sono sì delle giovani donne, ma non sanno di esserlo e non sanno come esserlo… ancora.
Concludendo, Amy rappresenta l’ordinario sull’orlo del cedimento, laddove le nuove generazioni si dirigono verso uno stile di vita sempre più social ed emulativo. Un cedimento che è stato interpretato come osceno e controverso, quando, in una visione di più ampio respiro, si tratta banalmente delle esplorazioni tipiche che hanno caratterizzato e caratterizzano tutte le generazioni, si è semplicemente raggiunto un estremismo tale da non renderci conto di tale somiglianza: nulla di strano, dunque, se contestualizzato. Questa denuncia di massa diventa, imponendoci una prospettiva neutrale e oggettiva, banale, poiché il film stesso è denuncia, mentre l’isterismo di massa è una delle tante sfumature del potere della condivisione e dell’accettazione social. Sono questi paradossi che meriterebbero una lunga riflessione, nell’incapacità, ormai, di distinguere qual è il bene peggiore per cui vale la pena schierarsi.
‘The Social Dilemma’ is the movie ‘Cuties’ wanted to be – William Becker

Amalia Cipriani, classe 1992. Nel 2014 ha conseguito una laurea triennale in Arti, musica e spettacolo presso l’Università di Salerno, dal 2015 al 2016 ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti, per poi trasferirsi a Bologna e conseguire nel 2019 una laurea magistrale in Cinema, televisione e produzione multimediale. Nello stesso anno ha completato un corso intensivo in Social Media Management.
A luglio 2020 ha terminato un master in Promozione e digital marketing per il cinema. Attualmente vive a Milano e lavora in stage presso un’agenzia di grafica e comunicazione.