Nelle campagne della Romagna, tra i filari di vite che a gennaio riposano dopo la vendemmia, si custodisce un segreto dolciario che affonda le radici nella civiltà contadina più autentica. I sabadoni sono ravioli dolci che raccontano la storia di un territorio dove nulla andava sprecato, dove il mosto d’uva diventava un nettare denso e prezioso, e dove le castagne secche si trasformavano in ripieno profumato. Questi dolcetti rappresentano l’espressione più genuina della gastronomia romagnola, quella che nasce dalla necessità e si eleva ad arte culinaria.

La loro preparazione è un rito che si tramanda di generazione in generazione, un momento che riunisce le famiglie nelle cucine di campagna, dove il profumo della saba, lo sciroppo ottenuto dalla lunga cottura del mosto, si mescola all’aroma delle castagne lessate e alla fragranza degli agrumi. Non è un dolce che si trova facilmente nelle pasticcerie moderne: i sabadoni appartengono al patrimonio delle ricette domestiche, quelle che le nonne custodiscono gelosamente e trasmettono alle nuove generazioni attraverso gesti più che parole.

La magia della saba: quando l’uva diventa oro bruno

Al centro della ricetta dei sabadoni c’è lei, la saba, chiamata anche mosto cotto o vino cotto. Questo straordinario condimento dolce nasce dal mosto fresco di uve bianche e rosse che viene versato in grandi paioli di rame e fatto cuocere lentamente per ore, fino a quando non si riduce a uno sciroppo denso e scuro, dal colore bruno intenso che ricorda il miele scuro. La preparazione della saba è una pratica antichissima, documentata fin dai tempi romani nelle Georgiche, e rappresentava per le famiglie contadine l’unica alternativa economica allo zucchero e al miele, prodotti costosi che pochi potevano permettersi.

La trasformazione del mosto in saba richiede pazienza e attenzione: durante la cottura, che può durare anche sei ore, bisogna mescolare continuamente per evitare che il liquido si attacchi al fondo del paiolo. Il risultato è un elisir dolce e fruttato che conserva tutta l’essenza della vigna, con note caramellate e una dolcezza naturale che non stucca. In Romagna, la saba veniva prodotta tradizionalmente dopo la vendemmia, nelle campagne, fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, quando ancora la vita rurale seguiva i ritmi delle stagioni e ogni frutto della terra veniva valorizzato al massimo.

La costruzione del sabadone: strati di sapori e tradizione

La preparazione dei sabadoni inizia con la sfoglia, un impasto morbido che ricorda quello della pasta frolla ma con una consistenza più elastica. Si mescolano farina, uova, burro fuso, zucchero, lievito e la scorza grattugiata di limone o arancia, che conferisce quel profumo agrumato tipico della pasticceria romagnola. L’impasto viene lavorato a mano, con gesti sicuri che solo l’esperienza può dare, poi viene fatto riposare avvolto nella pellicola, permettendo agli ingredienti di amalgamarsi perfettamente.

Il ripieno è dove si concentra l’anima contadina di questo dolce. Le castagne secche, lasciate in ammollo la notte precedente, vengono lessate a lungo fino a diventare morbidissime, poi passate al setaccio fino a ottenere una purea vellutata. A questa base si aggiungono la farina per dare consistenza, la marmellata (spesso di mele cotogne o prugne), la scorza di limone finemente grattugiata, un goccio di rhum o brandy per dare carattere, e naturalmente la saba, che viene incorporata poco alla volta, conferendo al ripieno quel sapore inconfondibile di mosto concentrato e quella consistenza leggermente umida e appiccicosa.

La sfoglia viene stesa sottile con il mattarello su un piano infarinato e tagliata a rettangoli di circa quindici per dieci centimetri. Al centro di ogni rettangolo viene posizionata una generosa cucchiarata di ripieno, poi la pasta viene ripiegata a libretto e i bordi vengono sigillati accuratamente con i rebbi di una forchetta, creando quel caratteristico motivo decorativo che impedisce al ripieno di fuoriuscire durante la cottura.

Le diverse anime della cottura: dal forno alla brace

Uno degli aspetti più affascinanti dei sabadoni è la variabilità nella cottura, che cambia da zona a zona, da famiglia a famiglia, creando versioni diverse dello stesso dolce. Nel ferrarese, dove la tradizione culinaria abbraccia con entusiasmo la frittura, i sabadoni vengono immersi nello strutto bollente fino a diventare dorati e croccanti all’esterno, mantenendo un cuore morbido e profumato. La temperatura deve essere perfetta: troppo alta e il dolce brucia prima di cuocere dentro, troppo bassa e assorbe troppo grasso diventando pesante.

In altre zone dell’Emilia-Romagna si preferisce la cottura al forno, più delicata e meno calorica, che permette ai sabadoni di gonfiarsi leggermente e di sviluppare una superficie dorata uniforme. Il forno deve essere preriscaldato a 180 gradi e la cottura dura circa quindici-diciotto minuti, il tempo necessario perché la pasta diventi croccante senza seccarsi eccessivamente.

Ma è in Romagna, dove la brace è un elemento culturale fondamentale, che si trova la versione più antica e suggestiva: i sabadoni venivano cotti sulla graticola, direttamente sulle braci ardenti, oppure sul testo refrattario, quella pietra circolare usata tradizionalmente per cuocere la piadina. Questo metodo conferiva ai dolcetti un leggero affumicato e una croccantezza particolare, creando un contrasto perfetto con la morbidezza del ripieno.

Il battesimo nella saba: l’ultimo passaggio magico

Qualunque sia il metodo di cottura scelto, c’è un passaggio finale che accomuna tutte le versioni dei sabadoni: il bagno nella saba. Una volta cotti e ancora caldi, i dolcetti vengono immersi completamente nello sciroppo di mosto, poi estratti e lasciati sgocciolare. Questo processo viene ripetuto più volte, permettendo all’impasto di assorbire la saba, che penetra nelle microscopiche porosità create dalla cottura e conferisce ai sabadoni quella caratteristica lucentezza scura e quel sapore intenso e avvolgente.

La saba non è solo un condimento superficiale: diventa parte integrante del dolce, ammorbidendolo ulteriormente e creando un equilibrio perfetto tra la dolcezza naturale del mosto concentrato e il gusto più complesso del ripieno di castagne. Alcuni lasciano i sabadoni a macerare nella saba per qualche ora, altri li servono subito: in entrambi i casi, il risultato è un dolce che sa di vendemmia, di camino acceso, di domeniche in famiglia.

Le feste patronali: quando i sabadoni diventano tradizione collettiva

Oggi trovare i sabadoni nelle pasticcerie è un’impresa quasi impossibile: sono rimasti confinati nelle cucine domestiche e nelle sagre di paese, quei momenti in cui la comunità si riunisce per celebrare le proprie radici. A Massalombarda, piccolo comune in provincia di Ravenna, i sabadoni sono diventati il simbolo della festa di San Paolo, patrono cittadino. Ogni anno, nella terza settimana di gennaio, vengono distribuiti al pubblico più di quattromila sabadoni, preparati seguendo le ricette tradizionali dalle mani esperte delle associazioni locali.

Anche a Solarolo, sempre in provincia di Ravenna, la metà di gennaio è il momento dei sabadoni, con una sagra che attira visitatori da tutta la regione, curiosi di assaggiare questo dolce che rappresenta l’identità gastronomica del territorio. Sono occasioni preziose per chi vuole scoprire sapori autentici, lontani dalla standardizzazione della pasticceria industriale, e per le nuove generazioni che così possono conoscere le tradizioni dei propri nonni.

Questi appuntamenti non sono solo momenti di festa: sono atti di resistenza culturale, modi per tenere viva una tradizione che rischia di scomparire, sostituita da dolci più facili da preparare e più adatti ai ritmi frenetici della vita moderna. Ogni sabadone distribuito durante queste feste è un piccolo pezzo di storia che passa di mano in mano, un testimone di un mondo rurale che sapeva trasformare ingredienti semplici in delizie memorabili.