Quando Giuseppe Pellizza nacque a Volpedo il 28 luglio 1868, nessuno avrebbe potuto immaginare che quel bambino cresciuto in una famiglia agiata di contadini avrebbe dato vita a uno dei dipinti più iconici della storia dell’arte italiana. Eppure, la sua esistenza breve e tormentata, conclusasi prematuramente il 14 giugno 1907, ha lasciato un’eredità indelebile: Il Quarto Stato, l’opera monumentale che trasformò la lotta operaia in pittura, la rivendicazione sociale in bellezza divisionista.

La rivoluzione silenziosa di un artista visionario

Pellizza non fu mai un rivoluzionario da barricata, ma la sua arte divenne il manifesto di un’epoca. Dapprima divisionista, poi esponente della corrente sociale, l’artista piemontese seppe coniugare la tecnica raffinata dei puntini di colore puro con la rappresentazione cruda e dignitosa del mondo del lavoro. Il Quarto Stato, realizzato tra il 1898 e il 1901, è il culmine di questa ricerca: un corteo di lavoratori che avanza verso lo spettatore con una determinazione pacifica ma inesorabile, trasformando la protesta in epica visiva.

L’opera, che oggi si trova alla Galleria d’Arte Moderna di Milano, nacque da un’esperienza diretta. Nel 1891, dopo aver assistito a una manifestazione di protesta di un gruppo di operai, Pellizza rimase molto impressionato dalla scena, tanto da annotare nel suo diario: “La questione sociale s’impone”. Da quel momento iniziò un percorso creativo che lo avrebbe occupato per un decennio, passando attraverso vari bozzetti e versioni, fino alla monumentale tela finale.

Ma Pellizza non fu solo il pittore del Quarto Stato. La sua produzione spazia dai paesaggi divisionisti intrisi di luce alle scene intimiste, dalle nature morte ai ritratti. Opere come “Prato fiorito”, conservato a Roma, o “Il sorgere del sole” in collezione privata a Torino, testimoniano la sua maestria nell’uso del colore e della luce, pilastri della tecnica divisionista che condivise con l’amico Angelo Morbelli, con il quale si confrontò sulla teoria divisionista e sulle tematiche politiche socialiste.

Un ritorno atteso: la mostra alla Galleria d’Arte Moderna

A più di un secolo dall’ultima e unica mostra monografica dedicata all’artista piemontese, realizzata nel 1920 alla Galleria Pesaro, Milano ripercorre la vicenda artistica e biografica di Giuseppe Pellizza da Volpedo con un’esposizione che si configura come un evento culturale di straordinaria rilevanza. La mostra, intitolata “Pellizza da Volpedo. I capolavori”, è aperta al pubblico dal 26 settembre 2025 al 25 gennaio 2026 proprio negli spazi della GAM, la casa naturale del Quarto Stato.

Curata da Aurora Scotti e Paola Zatti, l’esposizione è coprodotta dal Comune di Milano GAM – Galleria d’Arte Moderna con METS Percorsi d’Arte, associazione impegnata nella promozione dell’arte italiana dell’Ottocento, in un progetto che non si limita alla semplice retrospettiva ma ambisce a ricostruire l’intera parabola creativa di un maestro troppo spesso ridotto a un’unica, per quanto straordinaria, opera.

Il percorso espositivo si dipana attraverso le diverse fasi della carriera di Pellizza, rivelando la produzione meno nota e illustrandone l’evoluzione stilistica, dai modi dei Macchiaoli alla tecnica del Divisionismo. I visitatori possono così scoprire un artista complesso, tormentato dalla ricerca della perfezione tecnica e animato da una profonda sensibilità sociale. Le sale della Galleria d’Arte Moderna diventano lo scenario ideale per questo viaggio nel tempo, dove ogni tela racconta non solo la storia dell’arte italiana tra Otto e Novecento, ma anche le trasformazioni sociali, le lotte operaie, i sogni e le disillusioni di un’epoca.

L’iniziativa fa parte dell’Olimpiade Culturale di Milano Cortina 2026, inserendosi in un calendario di eventi che celebrano l’eccellenza culturale italiana. In collaborazione con i Musei Pellizza da Volpedo, il percorso di visita durante la mostra milanese si estenderà ai luoghi pellizziani, offrendo agli appassionati l’opportunità di immergersi completamente nel mondo dell’artista, dalle sale espositive milanesi fino al piccolo centro di Volpedo dove tutto ebbe inizio.

L’eredità di un maestro incompreso

La tragedia personale di Pellizza – che si tolse la vita pochi anni dopo il completamento del suo capolavoro – non ha impedito che la sua opera attraversasse i decenni diventando simbolo universale della dignità del lavoro e della lotta per i diritti. Il Quarto Stato è stato utilizzato in manifesti politici, riproduzioni popolari, riferimenti cinematografici, trasformandosi in icona collettiva ben oltre i confini dell’arte.

Questa mostra alla GAM rappresenta quindi molto più di una retrospettiva: è un atto di giustizia storica verso un artista che merita di essere conosciuto nella sua interezza, al di là dell’opera simbolo. È l’occasione per riscoprire la raffinatezza tecnica di un pittore che portò il divisionismo italiano ai massimi livelli, la sensibilità di un uomo che seppe tradurre in immagini le speranze e le sofferenze di un’intera classe sociale, la visione di un artista che anticipò temi e questioni ancora oggi drammaticamente attuali.

Visitare l’esposizione significa entrare in dialogo con un’epoca di trasformazioni radicali, quando l’arte osava farsi portavoce delle istanze dei più deboli, quando la bellezza non fuggiva la realtà ma la abbracciava per trasfigurarla. Significa ritrovare, nelle pennellate divisioniste di Pellizza, quella stessa tensione verso il futuro che animava i suoi lavoratori in marcia, quel passo deciso e collettivo che attraversa la tela per giungere fino a noi, spettatori del XXI secolo, con un messaggio che non ha perso nulla della sua forza originaria.