Fino all’ultimo dei suoi giorni, Marisa Ansaldo avrebbe conservato un ricordo nitido di quel risveglio di inizio agosto. Nella memoria, come se tutto fosse accaduto appena ieri, si sarebbe rivista affondare il viso nelle mani colme d’acqua fresca e rabbrividire di sollievo. Quella mattina l’aria era immobile.

Lei mangiava in silenzio e di tanto in tanto si abbandonava a qualche espressione di disappunto per il linguaggio di Betta o per le battute scherzose che Marisa e Stelvio si scambiavano con quella complicità che faceva più amara la solitudine che si portava dentro.

L’idea gli frantumava la sua musica in testa, come se fosse impossibile ritrovare l’armonia in una realtà in cui cose così orrende possono accadere. Per tutto il viaggio, …… alla ricerca di qualcosa che rappacificasse il caos che gli era esploso dentro. Ma niente. Era la prima volta in vita sua che le note non gli offrivano alcun conforto.

Sembrava che, nella semicoscienza di quei giorni, la sofferenza le avesse lavorato dentro, instancabile, per scarnificare ogni sentimento. L’aveva uccisa senza che lei se ne accorgesse. Che nessuno se ne accorgesse. Era quieta, lontana dalle cose della vita.

Non le era rimasta altra preoccupazione che sopravvivere. Negli ultimi mesi si era chiesta spesso perché si sforzasse di sopravvivere, l’esistenza le era diventata ogni giorno più insostenibile. Era rimasta aggrappata a quello spettro di vita e ora non ne comprendeva più la ragione. Questo era diventata: un equilibrio fragile tra vivere e morire.

Sapeva che quello che stava accadendo quella sera era il preambolo a una fine annunciata. Non era una sciocca, l’aveva capito sin dal principio, che da quella dipendenza non sarebbe uscita viva e che il sollievo che quelle sostanze le davano, un giorno o l’altro, l’avrebbe uccisa. Il suo bisogno di tregua, a un certo punto, sarebbe diventato più forte della paura di quello che potesse significare morire.

Sedette sul bordo del letto, dal momento che le sembrava giusto tenerle compagnia per colazione. La solitudine davanti al cibo era brutta il doppio, si diceva sempre. Ed era convinta che quella ragazzina pelle e ossa ne sapesse qualcosa: si può essere disperatamente sole in tanti modi, in ogni momento.

Quando fece capolino nella fessura della finestra appena socchiusa, la prima cosa che pensò fu che in qualche modo quella donna gli era familiare. Il viso segnato profondamente dalle rughe, lo sguardo che aveva perso qualunque forma di benevolenza perché la vita l’aveva presa a schiaffi più di quanto fosse stata capace di sopportare.

In tutta quella storia c’era molto da imparare, sugli effetti del dolore dell’anima.

«Possiamo chiuderci nel dolore, Bertilla, o decidere di prendere il buono che abbiamo intorno» disse Marisa. «È difficile. Ma ho bisogno di credere che in tutto quello che è stato ci sia un senso che ora non possiamo comprendere. Che un giorno tutto sarà chiaro, che quanto è stato non è che il dettaglio di un disegno che ancora non abbiamo occhi per vedere.»

 

Ognuno è solo nello stesso vuoto che il dolore ti costringe a vivere, ma è solo attraverso la condivisione che si riesce a rompere la bolla in cui il dolore ci imprigiona, a frantumarlo in tanti piccoli pezzi che pesano meno del macigno che si deposita sul cuore.

Un libro che racconta il dolore che sconvolgerà l’esistenza di una tranquilla e normale famiglia. Dove le convenzioni sociali contano più del dolore, dove le stesse si antepongono al bene e all’affetto di una madre. Laddove un padre insegna ad amare la vita e a superare gli ostacoli mentre la madre si trincera in consuetudini borghesi. Dove gli uomini sembrano marginali ma molto presenti affettivamente.

Di uomini che tolgono e di uomini che danno, di uomini che ti distruggono e altri che ti salvano.

Di persone a cui la vita ha negato e tolto anche il poco che sono disposte a dare, che capiscono la sofferenza senza che la vittima ne parli perché, quando hai vissuto sulla tua stessa pelle quel dolore, non hai bisogno di parole, ma basta guardare il baratro che c’è dentro gli occhi.

Roberta Recchia, con una scrittura fresca e nuova racconta una tragica storia, fatta di violenza e morte, di condivisione e di affetti nati per caso, di salvezza, di amore. Perché nella vita per salvare e salarci necessitiamo tutti di dare e ricevere affetto.

Preparate tanti fazzoletti perché di lacrime ne sgorgheranno tante, ma non solo lacrime.

Tutta la vita che resta di Roberta Recchia, Quando la vita ti toglie il fiato

Tutta la vita che resta
di Roberta Recchia
Rizzoli 2024