Le donne con la loro forza e morbidezza, stabilità e capacità di cambiare, sono ancora protagoniste dell’arte meneghina. Tra l’altalena di chiusure e aperture Palazzo Reale ospiterà fino al 5 Aprile 2021 “Divine e Avanguardie. Le donne nell’arte russa”, dove la figura femminile è prima soggetto centrale dell’opera e poi creatrice, testimone dell’evolversi di una grande nazione nell’arco temporale tra XIV e XX secolo. Anche questa mostra fa parte del palinsesto “I talenti delle donne” che già dallo scorso anno si sposta nei luoghi d’arte milanesi, ed è promossa e prodotta dal Comune, Palazzo Reale e CMS Cultura. Tra quadri, sculture e oggetti sono circa 90 le opere, per la maggior parte mai esposte in Italia, provenienti dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo la cui curatrice Evgenija Petrova, insieme a Josef Kibliskij, ne è direttore scientifico.


La mostra è suddivisa in 8 sezioni che accompagnano il visitatore nel variegato mondo delle donne russe nell’arte. Si parte dal “Cielo”, inteso come religione e spiritualità con la tipica pittura a tempera su legno delle Madonne e Sante bizantine. Immagini note all’iconografia religiosa, evocatrici di un’atmosfera raccolta e profonda, collocate non solo nei luoghi di culto ma anche nelle case, a sottolineare il coinvolgimento che le donne avevano nell’attività ecclesiastica, unico sfogo sociale alla vita domestica.
Dalla grandezza delle sante a quella delle monarche, la mostra prosegue con i ritratti delle zarine. Ora le donne sono in primo piano, addirittura sovrane dopo l’avvento di Pietro il Grande detto “Il riformatore”. Così ornate e incoronate le regnanti ci trasportano in un altro tempo dove Caterina II è ritratta in veste da viaggio (Michail Šibanov) e poi da sfarzosa regina (Dmitrij Levitskij), i toni sono quelli morbidi della pittura di fine Settecento. In contrasto, invece, con il ritratto della zarina Marfa Matveena che si staglia con una veste rossa su un angusto sfondo scuro di fine Seicento. Ammalia, tra gli altri, il grande il ritratto di Aleksandra Fëdorovna di Jacob Veber del 1914.


Proseguendo si ritorna a una dimensione più terrena, a la “Terra” per l’appunto, ora protagoniste sono le contadine. Categoria sociale che per lungo tempo ha vissuto una condizione di estrema schiavitù priva di diritti pur rappresentando la maggioranza numerica del popolo russo. Le troviamo interpretate da Aleksej Venetzianov primo in Russia a dedicarsi a questi soggetti raffigurati da colori tenui e toni caldi in un clima di attesa. Mentre nell’imponente opera di Filipp Maljavin “Donne (di camapagna)” del 1905 le cromie accese delle vesti diventano un tutt’uno con il paesaggio sfavillante, in un gioco di pennellate da cui i volti emergono come per caso. Di tutt’altro genere le raffigurazioni del pittore suprematista Kazimir Malevich che ha interpretato le donne contadine nel difficile periodo della Rivoluzione del 1917, trasformandole in figure essenziali vivacemente colorate, ma ormai spersonalizzate ed estranee al loro contesto.
Ci sono moglie e figlie degli artisti nella sezione “Donne e società” ma anche ritratti di figure importanti come quello della poetessa Anna Achmatova qui raffigurata su sfondo blu da Kuz’ma Petrov-Vodkin, ma la cui personalità attirò molti altri artisti a ritrarla, tra i quali Modigliani. O la danzatrice Е. B. Annenkova , allieva di Isadora Duncan, le cui linee del corpo bianco si fondono con lo sfondo in un accenno di cubismo. C’ è poi “La cena” del 1915 dove Aleksandr Drevin racconta della povertà con toni monocromi e asciutte geometrie. Ma sono i dipinti degli anni Trenta a spiegarci la forza della donna nella società russa dell’epoca: i ritratti a mezzo busto invadono il campo imponendo allo sguardo null’altro che la persona e la sua tenacia, come l’“Operaia” di Malevich o la “Ragazza in maglietta” di A. Samochvalov.


La famiglia non è solo il nido in cui rifugiarsi, nella sezione dedicata i quadri parlano di denuncia sociale (molto attiva tra gli intellettuali dell’Ottocento) riguardo alla situazione di svantaggio in cui vivevano spesso le giovani donne. Costrette a sposarsi con uomini ormai anziani, come nell’emblematico “Prima dell’incoronazione” dove la sposa piange inginocchiata al centro della sala mentre gli invitati e lo sposo la osservano impassibili. O sottoposte a molestie, come quella rappresentata ne “Il suocero” di V. Makovskij, e pubbliche umiliazioni dove ne “La presentazione della promessa sposa” di Grigorij Mjasoedov, la giovane è costretta a denudarsi per essere “ispezionata” dalle future parenti.
Smorza i toni precedenti la parte dedicata alla maternità, “Madri”. Ritratti di momenti per lo più felici, mentre i bambini vengono allattati e cullati, con calde e tenui cromie a sottolinearne l’avvolgente affetto.
“Il corpo” parla di liberazione, una femminilità finalmente svelata. Da soli o in compagnia, in lingerie o scolpiti nel marmo, la sezione è infatti dedicata ai nudi che tra il diciannovesimo e ventesimo secolo diventano degni di essere soggetti autonomi nell’opera. Larionov nel 1912 raffigura un corpo provocatoriamente stilizzato come il disegno di un bambino; Kustodiev con “Bagnante” del 1921 per certi versi richiama il “Dèjeuner sur l’herbe” di Manet, anche se la donna è sola e immersa nella natura a rappresentarne la provocatoria purezza. Scenografico “Banja” della pittrice Zinaida Serebrjakova che, secondo l’interpretazione neoclassica, riempie la scena con un tripudio di corpi ben levigati da luci e ombre.


E infine le donne non più solo soggetti ma interpreti dell’arte. Artiste divise tra realismo e avanguardie a cui diedero un deciso contributo (per questo definite “amazzoni” dall’artista Benedikt Livšits). Ancora ottocentesco “Ombrello” di Marjia Baškirtseva, lascia al nero il compito di raccontare la storia della ragazzina che ci guarda dal quadro. Ritroviamo poi qui la Serebrjakova con un autoritratto o in un dietro le quinte de “Lo schiaccianoci”, le cui figure limpide si staccano dallo stile neoclassico di Bajna.
Di Natal’ja Gončarova rappresentativo è “Inverno” un paesaggio innevato dove gli alberi spogli la fanno da protagonisti, ma la sua arte si trasforma poi fino ad approdare alle linee scattanti del futurismo. Entriamo nell’affascinante terreno delle avanguardie di cui le artiste russe sono state valide interpreti come anche Olga Rozanova con il suo astrattismo geometrico elogiato da Malevich, o Ljubov’ Popova che, insieme ad altre, diventa interprete del cubismo.
Tre riproduzioni di abiti linearmente asciutti e funzionali realizzati da queste artiste negli anni Venti, sono ulteriore conferma del comodo rigore geometrico richiesto dall’epoca, a cui solo gli interventi di colori monocromi conferivano un tocco di dinamismo.


L’ultima parte della mostra abbraccia il tema sociale della rivoluzione e del cambiamento con “La nuova vita quotidiana” di Ljubov’ Mileeva, una tempera su tela che, a chiusura del cerchio, rimanda alle madonne bizantine con anche l’uso di cromie oro e argento. Un’opera d’avanguardia ma che parla al popolo attraverso i simboli come il noto “falce e martello”. Chiude la riproduzione in scala di “L’operaio e la Kolkotsiana” di Vera Mukhina il cui originale (24,5 metri) è stato inaugurato all’ “Esposizione universale di Parigi” del 1936 a rappresentare il padiglione russo, per poi diventare simbolo dello Stato sovietico. In un impeto di liberazione l’uomo e la donna si dirigono verso il nuovo che li aspetta brandendo, ancora, falce e martello.
Una mostra ricca e incisiva che speriamo possa contribuire a sensibilizzare, come le precedenti, sul tema ancora irrisolto del ruolo della donna nella società odierna.


Dal mare sono approdata a Milano ormai 15 anni fa, la frenetica città è diventata così culla della mia formazione mentre le radici rimangono piantate tra salsedine e pini marittimi, in equilibrio nostalgico tra passato e presente.
Da sempre proiettata verso l’esigenza di esprimermi in maniera creativa, ho deciso di assecondare questa tendenza e studiare arte e poi moda, per poi scoprire che la cosiddetta “creatività” è applicabile a ogni ambito dell’esistenza, quando parliamo col vicino di casa, andiamo a far la spesa o ci si intasa il lavandino, quando cuciniamo per dieci persone con due ingredienti nel frigo o cerchiamo di far quadrare i conti alla fine del mese.
Come un’ape in cerca del polline vago tra i miei molteplici interessi, alcuni sfumati nello scorrere degli anni e altri ancora in auge. Tra i fiori verso cui attingo al momento ci sono i libri, lo swing, la pittura, il vino e il cibo, il teatro, lo studio dello yoga e di uno stile di vita più “umano”. La scrittura, invece, è rimasta costante della mia vita.
Scrivo da quando ho iniziato a dare senso compiuto alle parole, inizialmente per istinto e necessità e poi per passione, prediligendo in assoluto il gesto postumo di correggere per cento e più volte il testo battuto di getto sulla tastiera. Sono incuriosita da tutto ciò che è comunicazione (compreso il silenzio), quel ponte tra noi e il mondo ultimamente troppo sottovalutato.