Immaginate un frutto che sa di tropici ma resiste a temperature di meno venticinque gradi. Un albero che produce bacche cremose dal sapore di mango e banana, eppure cresce dove nevica e gela. Non è fantasia botanica, ma realtà: si chiama Asimina triloba, meglio conosciuto come banano di montagna o pawpaw, e da qualche decennio ha trovato casa anche in Italia, dove pionieri coraggiosi stanno dimostrando che l’esotico può prosperare persino sulle pendici alpine.
Le origini americane del pawpaw
Il pawpaw è originario della regione orientale degli Stati Uniti, dove si trova spontaneo nelle valli dei monti Appalachi, con una distribuzione che spazia dal Nebraska all’Oceano Atlantico, dalla Carolina del Sud fino al sud del Canada lungo le rive dei Grandi Laghi. Le prime documentazioni scritte che menzionano l’Asimina risalgono al 1541 nei diari della spedizione di Hernando de Soto, il quale la trovò tra le piante coltivate dai Nativi ad est del fiume Mississippi.
Il nome pawpaw deriva dal nome della tribù dei nativi Paw Paw, inteso come “frutto dei Paw Paw”. Era uso tra gli abitanti delle campagne del Midwest di recarsi nel bosco a fine estate alla ricerca delle migliori macchie di Asimina in cui raccogliere da terra i frutti maturi. I bambini erano particolarmente abili in questo compito e vedevano l’occasione come un gioco e come una rara opportunità di mangiare qualcosa di dolce a volontà. Di questa tradizione rimane una canzone popolare che si trova in infinite varianti in tutti gli Stati Uniti orientali: Way down yonder in the pawpaw patch, che invita i più piccoli a seguire una compagna di giochi addentratasi nel boschetto di Asimina per riempirsi le grosse tasche con i frutti maturi e profumati.
Un frutto che sfida la classificazione dei sapori
I frutti sono grandi bacche ovali simili nella forma a pere più o meno cilindriche, lunghe da sei a diciotto centimetri e larghe da tre a otto centimetri. Sono singoli o spesso riuniti a gruppi a costituire delle “mani” vagamente simili nella struttura a quelle delle banane, da cui i soprannomi locali che li associano, non propriamente, alle banane. Il peso ordinariamente varia da cinquanta-cento grammi fino a duecentocinquanta-quattrocento grammi l’uno. I frutti contengono numerosi semi bruni, disposti in due file, molto duri, anche di notevole dimensione, simili a grossi fagioli allungati.
La polpa del frutto è a consistenza densa, soda, cremosa, bianca o a volte di colore tendente al giallo, dolce e profumata, di sapore complesso e privo di acidità. Il sapore ricorda una combinazione di sentori di banana, ananas, mango, papaya, fragola e caco, e può variare a seconda della varietà. Gli intenditori parlano di un tipico sapore di asimina che si fa fatica a descrivere perché non rientra nei sapori cui siamo abituati normalmente. La polpa cremosa è perfetta per essere consumata al cucchiaio, ma si utilizza anche in frullati, marmellate, dolci e chutney speziati.
L’arrivo in Italia: da Faenza all’Alto Adige
L’avventura italiana del banano di montagna inizia nel 1983 a Faenza, in Emilia-Romagna, dove si cominciò a produrre nuove varietà. Fu proprio qui che venne sviluppata la cultivar Prima1216, diventata poi una delle più apprezzate. L’azienda agricola Montanari di Faenza è stata pioniera nell’introduzione e selezione di questa specie, creando varietà adatte al clima italiano.
Il salto decisivo avvenne nel 2013 in Alto Adige, quando ad Appiano sulla Strada del Vino due amici realizzarono i primi frutteti commerciali di banano di montagna, mettendo inizialmente a dimora circa novecento piante delle varietà Prima1216 e Sunflower su una superficie di tremila metri quadrati. Nei primi anni il raccolto produceva circa cinque chilogrammi di frutti per ogni albero, mentre in piena produzione, su piante di otto-dieci anni, si raccolgono fino a dieci chilogrammi per pianta.
Una coltivazione che richiede pazienza
Il banano di montagna è una pianta a foglia caduca con grandi foglie ellittiche allungate che mantengono la loro colorazione verde fino in autunno inoltrato, per poi tingersi infine di giallo. I fiori a campanella hanno sei petali di colore rosso-marrone scuro e in primavera pendono dai rami ancora spogli. Il loro profumo ricorda vagamente quello di carne putrida: un dettaglio curioso che non attira le api ma altri impollinatori.
L’Asimina resiste a temperature rigide fino a meno venticinque gradi Celsius, tuttavia nel periodo di fioritura non sopporta le gelate che precluderebbero la raccolta. Se coltivata in posizione consona, non necessita di particolari cure, soltanto di una concimazione organica primaverile. La pianta preferisce terreni ben drenati, freschi e ricchi di sostanza organica, con pH leggermente acido o neutro.
Una caratteristica peculiare della coltivazione è che il grado di maturità non è riconoscibile dai frutti sulla pianta. Nelle coltivazioni commerciali si dispongono delle reti di raccolta sotto le fronde degli alberi: solo i frutti che cadono spontaneamente hanno raggiunto la maturità ottimale e possono essere gustati. A temperatura ambiente i pawpaw si mantengono soltanto per due o tre giorni, ma possono essere frullati a purea e congelati oppure impiegati per la preparazione di marmellate, dolci o gelati.
Dal frutteto alla gelateria: nuovi usi gastronomici
Il banano di montagna si presta a diversi usi gastronomici ed è molto nutriente: ricco di proteine, vitamine A e C, e minerali come potassio, magnesio, ferro, manganese, zinco e rame. In Italia la sua dolcezza cremosa ha trovato una declinazione perfetta nel gelato e nei sorbetti. A Domodossola, la gelateria Sensolato ha creato un sorbetto a base di pawpaw grazie alla collaborazione con l’azienda agricola Valle Olocchia, che coltiva e trasforma piccole quantità di frutti antichi e particolari. La polpa naturalmente cremosa e dolce si è rivelata perfetta per diventare sorbetto, incuriosendo subito i clienti con il suo sapore che ricorda il mango, con richiami ad altri frutti tropicali come papaya e ananas, ma con una cremosità quasi burrosa simile alla banana.
Un’opportunità per la frutticoltura del futuro
Attenzione però: tutte le parti della pianta, ad eccezione della polpa dei frutti maturi, sono velenose. Contengono infatti acetogenine a spiccata attività antimitotica, sostanze che impediscono la replicazione cellulare e che per questo sono allo studio per la cura dei tumori. I semi e le foglie possono causare arrossamenti o, di rado, reazioni allergiche se vengono a contatto con la pelle.
La maturazione differita nel tempo e la delicatezza dei frutti, che si ammaccano facilmente, rendono difficile la coltivazione industriale su larga scala. Tuttavia, per coltivatori appassionati e piccole aziende agricole, il pawpaw rappresenta un’opportunità unica: un frutto esotico che può crescere nei climi temperati del Nord Italia, resistente al freddo, praticamente immune da parassiti e malattie, capace di valorizzare terreni marginali e di offrire un prodotto di nicchia dall’enorme potenziale gastronomico.
Oggi il banano di montagna rimane ancora poco conosciuto in Italia, dove l’utilizzo è indirizzato principalmente al consumo diretto da parte di coloro che posseggono una pianta o alla trasformazione artigianale. Ma l’interesse sta crescendo tra vivaisti, frutticoltori e gelatai alla ricerca di prodotti innovativi. E forse, tra qualche anno, non ci stupiremo più di trovare il gusto di pawpaw nelle gelaterie di montagna, accanto ai più tradizionali frutti di bosco alpini.

Direttore editoriale di nonewsmagazine.com | Il magazine dell’ozio e della serendipità.
Direttore responsabile di No News | La free press dell’ozio milanese.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare agli amori sofferti tra le campagne inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo, c’è chi lo chiama “il fondamentalista del Loggione”. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita, tuttavia, rimane la Tosca.





































