Ad essere sottosopra è il mondo dopo l’uscita della seconda stagione di Stranger Things, la serie ormai culto di Netflix scritta e diretta dai fratelli Duffer che vede protagonisti un gruppo di ragazzini nerd alle prese con mostri del sottosuolo, o meglio di quella sotto-dimensione fredda, tetra ed oscura, scoperta già nella prima stagione. Questa volta però il villain di turno è qualcosa di decisamente più grande e pauroso.

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Proprio come in un videogioco, la combriccola della cittadina di Hawkins è avanzata di livello ritrovandosi in situazioni più complesse, che costringono alla perdita di ancora qualche vita.

Ma ad essere migliorati in questa seconda stagione non sono solo i nemici. Non c’è solo il fatto che il “demo-gorgone” abbia lasciato spazio ad un’orda di “demo-cani”. Ad aver “skillato”, ad aver fatto un avanzamento di livello è l’intera serie, tutto il progetto di due fratelli che a loro volta hanno dovuto combattere un nemico prepotente.

Passare dall’avere una bella storia tra le mani scritta su un blocco di fogli, ad essere autori di una delle serie più straparlate del momento può essere deleterio e in via definitiva può marciare decisamente contro. Ma la seconda stagione di Stranger Things è un uragano di cambiamenti, una boccata d’aria fresca che poche serie sanno concedersi e che al massimo, quando capita, cominciano ad elaborare dopo la terza o la quarta stagione.

L’essere intrinsecamente un racconto di formazione prende il sopravvento sul citazionismo, sì bello, ma dal potere limitato, di cui i due ideatori si erano serviti nella prima stagione. Vero, c’è dentro tanto, ma proprio tanto. C’è Spielberg, ci sono tutte le saghe fantascientifiche del passato, c’è il gioco di ruolo, il mitico D&D che ancora offre a ragazzini e adulti le giuste chiavi di lettura per fronteggiare i nemici della realtà. Tutto ciò è stato finalmente limato, arrotondato al punto giusto per non stancare con il già visto, seppure celebre, ma pur sempre già visto. Ci accontentiamo dei costumi da Ghostbusters per la festa di Halloween questa volta.

E fa strano che proprio la parola “realtà” sia di vitale importanza in una saga sci-fi come Stranger Things. In questa seconda stagione le cose più importanti accadono dal punto di vista relazionale, nelle giovani coscienze, nei flebili ma sinceri amori di ragazzini che rispetto ad un anno prima sono cambiati tanto. Il gruppo democratico composto da Dustin, Mike, Lukas e Will ora sembra essere sull’orlo della decomposizione, lasciando emergere le spiccanti personalità dei singoli, i propri desideri e punti di vista. Non più sessioni di gioco di ruolo tutti assieme ma anzi, per lo più sono quasi sempre tutti divisi i giovani detective del mistero.

Puntuali anche le comparse di nuovi personaggi come la scontrosa e problematica Mad Max, nuovo membro del gruppo non accettata in modo unanime, e suo fratello Billy, qualcosa di più di un comune bullo con complessi di inferiorità che si scaglia contro Steve per depositarlo e prenderne la carica, ossia trasformarsi nel nuovo “re” della scuola.

Ammiccante la trasformazione di Undi, alla ricerca del suo passato e lontana dal gruppo per oltre metà stagione. Dirige la trama verso nuovi lidi, ossia la cellula terrorista capeggiata da qualcuno che è come lei, una “sorella” con la solita goccia di sangue che viene fuori dal naso alla ricerca di vendetta contro tutti i membri del laboratorio che hanno forgiato il loro oscuro passato.

Quello che salta agli occhi più d’ogni altra cosa è lo slancio in avanti che lascia indietro l’età dell’infanzia, un movimento che produce moto per i primi perturbamenti dell’anima, le gelosie e gli scontri.

Il mostro ombra, ciclopica presenza-assenza aracniforme che sovrasta nei cieli tempestosi del sottosopra (che a tratti ricorda le creature aliene de La guerra dei mondi) non si palesa mai del tutto. C’è, ma anche non c’è. In questa seconda stagione la malvagità sembra darsi solo come ragion d’essere di tutto il resto, un oscuro pretesto che da voce ad una intricata rete di rapporti, sia tra ragazzini che tra adulti, esagerando, un macguffin che fa da canale per il fluire di una storia ancora fantastica, ma straordinariamente con i piedi per terra.

Nel caso del povero Will, posseduto dalle nere tele di quest’ombra, straordinario sarà il movimento interno di sua madre (Winona Ryder), super apprensiva e maniaca del controllo, costretta non solo a separarsi idealmente dal suo piccolo Will, ma anche ad infliggergli atroci tormenti pur di liberarlo dal male. E questo è solo uno degli esempi, forse il più luminoso, di come il nemico in realtà sia solo la cornice, il “per”.

Che dire, una grande conferma ma non solo, e questa è la vera “cosa strana”. L’augurio è quello di continuare su questa strada, ossia quella della cura del dettaglio al di là di qualsiasi numero. E nel caso di Stranger Things i numeri sono davvero spaventosi.

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