Nella rappresentazione del Misantropo, al Teatro Sala Fontana, le musiche e gli attori si fondono in una semplice, ma allo stesso tempo complessa, scenografia.
Lo spettatore è quasi tratto in inganno dalla pianista dal vivo e si sorprende nel vedere la prima scena; quasi fosse un fuori campo visivo.
Un po’ come gli occhi degli innamorati che “inventano” con i loro occhi la verità.
Persino i silenzi, dopo le calunnie, inchiodano lo spettatore alla poltrona in trepida attesa della scena seguente.
Non solo gli attori, ma anche gli allestimenti scenici paiono muoversi spinti da un “desiderio” atto a scandagliare la natura dell’essere umano e quali sono le basi su cui essa si erge.
Alceste non è propenso a scendere a patti col mondo. Lui crede fermamente nella veridicità delle relazioni.
Non si piega nemmeno difronte al potente Oronte.
Alceste odia profondamente i difetti dell’essere umano ma ama follemente Celimène che incarna, tuttavia, proprio quei difetti che lui odia. L’ama, chissà, proprio per questo?
Ama in lei, forse, quello che lui stesso si nega? Avere difetti e non essere sempre saggio e corretto?
Le scene si susseguono tra realtà e sogno quasi a voler sottolineare la folle situazione che sta vivendo Alceste.
Solcano il palco gli attori, muniti di secchi pieni di foglie secche, le seminano sul palco quasi a simboleggiare l’autunno dei rapporti umani, l’autunno dei sentimenti.
Celimène verrà smascherata, ella ha sempre giocato coi sentimenti dei suoi spasimanti; ad ognuno di essi ha scritto lettere d’amore appassionato pur non amando nessuno di essi.
All’alba ognuno di loro saprà quanto è stato ingannato.
Filinte correrà dietro ad Alceste, mentre Eliante alla quale aveva promesso amore, resterà seduta su una panchina avvolta nella nebbia.
Perché malgrado le parole di Alceste “Amatevi l’un per l’altro; è questa la vera felicità”, Filinte ci mostra la vera natura dell’esistenza umana “sfuggevole”.
Uno spettacolo che merita di essere visto.

