Cantine Garrone si trova nella parte più a nord dell’alto Piemonte, esattamente a Oira di Crevoladossola, nella Valle Ossola, una zona di montagna creatasi dalla combinazione tra il ritiro di un grande ghiacciaio ed il lungo lavoro di escavazione compiuto dai fiumi.


Qui, sui ripidi pendii esposti a Sud, il microclima dettato dalle montagne e mitigato dai vicini laghi Maggiore, d’Orta e di Mergozzo, si è da sempre rivelato ideale per la viticoltura. I vigneti sono disposti su terrazzamenti artificiali, scavati nella roccia e delimitati da muretti a secco, ma anche sui pendii meno impervi tutte le fasi della coltivazione, dalla potatura alla vendemmia, devono essere svolte manualmente. I terreni sono molto eterogenei con alcune caratteristiche comuni: pH tra acido e sub acido, elevata presenza di materiale roccioso (in prevalenza micascisti e calcescisti),sabbia e poca argilla. Le vigne più vecchie, ultracentenarie (con punte che superano i 200 anni),sono a piede franco e sono inserite all’interno di vigneti che hanno età media di 60anni.

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Ci sono poi impianti in piena maturità piantati tra inizio anni’90 e 2000 ed impianti più recenti dal 2010 in poi. Tutte le piante ultracentenarie sono allevate a “Toppia” o pergola. Questo sistema tradizionale che segue l’inclinazione naturale del terreno, consente un migliore sfruttamento della scarsa superficie coltivabile, tant’è che negli anni passati, sotto la Toppia, i contadini piantavano segale, patate, fieno. L’allevamento a “Toppia”, inoltre, tenendo i germogli più in alto rispetto ad altri sistemi, ne favorisce la sopravvivenza in caso di gelate primaverili. Il grande svantaggio è una quantità di ore lavoro elevatissimo. Per questo motivo, da trent’anni gli impianti nuovi sono a Guyot il quale dà sempre ottimi risultati e ha una gestione meno dispendiosa. L’ azienda coltiva principalmente Nebbiolo, o meglio Prünent, un clone antico del nobile vitigno piemontese; seguono Croatina e Merlot per i rossi e Chardonnay per i bianchi. Cantine Garrone produce con uve provenienti da 14ha, di cui 3 lavorati direttamente e 11 suddivisi tra cinquanta piccoli viticoltori, sotto la consulenza agronomica aziendale.

Dal punto di vista ambientale, la produzione di energia elettrica e acqua calda è semi indipendente in quanto sul tetto della cantina sono installati un impianto fotovoltaico e uno termico. Per l’accoglienza, oltre alle visite in cantina, la famiglia gestisce, come bed and breakfast, un’antica “casa forte” in pietra ossolana risalente al 1598 e perfettamente conservata dove si trova anche la cantina di affinamento. In qualità di custodi dei segreti della produzione vitivinicola Ossolana, Cantine Garrone, in collaborazione con l’Università di Torino, ha partecipato al progetto di recupero del materiale genetico del Prünent selezionando tre cloni di “Nebbiolo Ossolano” oggi ri prodotti in vivaio.

Filosofia aziendale è quella di valorizzare al massimo il territorio ossolano puntando alla produzione di un prodotto di alta qualità. Cantine Garrone è sempre stata il punto di riferimento della denominazione Valli Ossolane, nonché la prima, e per lungo tempo la sola, ad investire nel progetto di recupero della viticoltura in questo territorio, in cui la produzione divino è documentata fin dal 1309. Lavorare con serietà, onestà e consapevolezza del valore intrinseco del terroire di ciò che produce ha fatto sì che, a poco a poco, quel progetto si strutturasse e arrivasse fino ad oggi. La speranza, per il futuro, è quella di vedere riconosciuto questo territorio come riferimento per i vini di montagna, in particolare i Nebbioli, e quella di veder incrementare il valore delle bottiglie prodotte, in modo da far fronte alle spese di una viticoltura che, in queste zone, è molto dispendiosa anche economicamente.

«La nostra idea di produzione – dicono i Garrone interpreta la storia del territorio. Da quattro generazioni lavoriamo queste vigne e raccogliamo l’eredità di oltre trecento anni di storia che ogni singola famiglia ha nel suo patrimonio. Ogni piccola parcella, infatti, si tramanda di padre in figlio come se fosse un continuum. Noi ci sentiamo orgogliosi di esserne gli interpreti»

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