Il 23 settembre scorso, nella cornice londinese che da decenni celebra l’eccellenza letteraria, sei romanzi hanno conquistato la shortlist del Booker Prize 2025. Non si tratta di opere qualunque: ciascuno dei finalisti incarna quella capacità rara di dominare la lingua inglese con ritmo e maestria assoluti, secondo le parole dello scrittore irlandese Roddy Doyle, presidente della giuria e lui stesso vincitore del premio nel 1993.
Ma c’è qualcosa di più profondo che unisce questi sei libri, qualcosa che trascende la tecnica narrativa e tocca le corde più intime dell’esistenza umana. Sono storie di persone intrappolate tra mondi diversi, tra chi sono stati e chi vorrebbero diventare, tra le aspettative degli altri e la voce silenziosa del proprio cuore. Sono romanzi che esplorano quella distanza dolorosa che separa l’individuo dagli altri esseri umani – che siano genitori, figli, partner o perfino sé stessi in un’altra epoca della vita.
Quest’anno la selezione trasporta i lettori dall’Ungheria al Giappone, dall’Italia agli Stati Uniti, dall’India alla campagna inglese, seguendo personaggi spesso sradicati, lontani dai luoghi che un tempo chiamavano casa. È come se la letteratura contemporanea avesse messo a fuoco un’inquietudine collettiva: quella sensazione di non appartenere mai completamente a nessun posto, di portare dentro di sé geografie multiple che non si riconciliano mai del tutto.
I volti di una giuria che ascolta storie dal mondo
La giuria del Booker Prize 2025 – composta da Roddy Doyle, l’autrice nigeriana Ayọ̀bámi Adébáyọ̀, lo scrittore e critico britannico Chris Power, la romanziera americana Kiley Reid e l’attrice ed editrice Sarah Jessica Parker – ha vagliato 153 titoli per arrivare a questa selezione finale. Sarah Jessica Parker ha descritto il processo come “una vera agonia”, ammettendo che “non c’è niente di casuale nel lasciare andare un libro”.
È un’affermazione che rivela qualcosa di essenziale sul valore della letteratura: ogni romanzo che viene scartato porta con sé un mondo intero, vite immaginarie che meriterebbero di essere raccontate. La scelta diventa allora un atto quasi doloroso, un riconoscere che anche tra l’eccellenza bisogna operare discriminazioni, stabilire gerarchie, dire di no.
Per la prima volta dal 2022, la shortlist presenta un perfetto equilibrio di genere: tre uomini e tre donne. Gli autori provengono da India, Gran Bretagna, Ungheria e Stati Uniti, portando con sé bagagli culturali profondamente diversi. Se Kiran Desai dovesse vincere, l’India completerebbe uno storico en plein dei premi Booker del 2025, dopo che Banu Mushtaq e la traduttrice Deepa Bhasthi hanno già conquistato l’International Booker Prize con la raccolta di racconti “Heart Lamp”.
Veterani della parola scritta cercano nuove verità
Nessun esordiente figura tra i finalisti quest’anno: sono tutti autori veterani, molti dei quali con più di cinque libri all’attivo. Collettivamente, i sei finalisti hanno scritto 41 romanzi per adulti, con punte come gli undici romanzi dell’americano Ben Markovits e i dieci dell’inglese Andrew Miller.
Questa maturità letteraria si traduce in opere che non hanno fretta di stupire con trovate superficiali. Sono romanzi che scavano in profondità nelle contraddizioni umane, che si permettono il lusso della lentezza, dell’ambiguità, del non dare risposte facili. Susan Choi con “Flashlight” racconta la storia di un uomo cresciuto in Giappone da genitori coreani, in cerca di una vita migliore in America, e del dolore devastante che la sua misteriosa scomparsa lascia nella moglie e nella figlia. È una narrazione che secondo il Washington Post presenta “geopolitiche affilate fino a diventare una punta di diamante che schiaccia una piccola famiglia”.
Kiran Desai ha impiegato quasi vent’anni a scrivere “The Loneliness of Sonia and Sunny”, un romanzo che i giudici hanno definito “una favola realista magica dentro un romanzo sociale dentro una storia d’amore”. È il racconto di una coppia di giovani indiani le cui vite si intrecciano e si separano per decenni in un’epopea globale, prima di scoprire cosa significhi davvero amarsi. Vent’anni per completare un libro: un tempo che sfida la logica frenetica del mercato editoriale contemporaneo, ma che testimonia la volontà di non scendere a compromessi con la complessità della vita.
Quando la famiglia diventa campo di battaglia
Katie Kitamura porta in scena con “Audition” la storia inquietante di un’attrice di successo la cui esistenza viene sconvolta dall’apparizione di un giovane che afferma di essere suo figlio. L’autrice ha dichiarato di essere stata conquistata dall’idea che “in un singolo incontro, in un singolo momento, tutto ciò che capisci di te stesso e del tuo posto nel mondo possa essere ribaltato”. Il libro ha già attirato l’attenzione della società di produzione di Barack e Michelle Obama, che ne sta realizzando un adattamento cinematografico con Lucy Liu.
Tutti i romanzi finalisti presentano personaggi che affrontano le difficoltà della convivenza familiare e domestica: dinamiche tra genitori e figli che si capovolgono, coppie che si allontanano inesorabilmente, famiglie che crollano sotto il peso della propria storia o delle aspettative altrui. Ben Markovits con “The Rest of Our Lives” narra una crisi di mezza età attraverso un tortuoso viaggio on the road da Cape Cod alla California. L’autore ha spiegato: “I miei figli stavano crescendo e volevo scrivere qualcosa su un certo periodo della vita familiare che stava finendo”.
È la letteratura che diventa testimonianza di quei momenti di crisi silenziosa che tutti attraversiamo ma che raramente riusciamo a raccontare: quando un matrimonio si trasforma in una convivenza meccanica, quando i figli diventano estranei, quando il corpo invecchia e la carriera si sgretola.
Tra sperimentazione narrativa e tradizione classica
Alcuni autori hanno optato per una narrazione classica, mentre altri hanno compiuto sperimentazioni che la giuria ha definito “sorprendenti e sconcertanti”. Andrew Miller con “The Land in Winter” dipinge un amore che si raffredda progressivamente per due coppie sposate nell’Inghilterra rurale del dopoguerra. È il decimo romanzo di Miller e il secondo a raggiungere la shortlist del Booker, dopo “Oxygen” nel 2001.
David Szalay, autore britannico-ungherese, segue in “Flesh” la vita di un uomo dalla sua nascita in un complesso residenziale dell’Europa centrale fino alle ville dei super-ricchi di Londra. Anche per Szalay si tratta della seconda apparizione nella shortlist, dopo “All That Man Is” nel 2016.
Alcuni romanzi si svolgono nell’arco di pochi giorni o settimane, altri nell’arco di decenni. Questa varietà temporale riflette modi diversi di interrogarsi sul senso dell’esistenza: c’è chi trova l’epifania in un momento di crisi concentrato, chi invece ha bisogno di seguire una vita intera per capire dove si nasconde la verità.
Il Booker Prize come termometro culturale
Il Booker Prize, già noto come Booker Prize for Fiction e Man Booker Prize, è probabilmente il più prestigioso premio letterario di lingua inglese, con un montepremi di 50.000 sterline. Dal 2004 è affiancato dall’International Booker Prize, dedicato alla narrativa tradotta, che premia in egual misura autore e traduttore.
Quest’anno, quattro dei sei libri finalisti sono pubblicati nel Regno Unito da Penguin Random House, una concentrazione che solleva domande sulla diversità editoriale e sulle dinamiche di potere nel mondo della letteratura anglofona. L’unica casa editrice indipendente presente è Faber, che ha già pubblicato sette vincitori del Booker, l’ultimo dei quali è stato “Milkman” di Anna Burns nel 2018.
Ma al di là delle statistiche editoriali, quello che emerge da questa selezione è un ritratto spietato del nostro tempo: un’epoca di migrazioni, identità frammentate, solitudini urbane e difficoltà a costruire connessioni autentiche. Diversi libri esplorano le sfide della vita da immigrati, con protagonisti spesso incastrati tra due nazioni, che faticano a integrarsi e lottano contro la solitudine o l’isolamento.
Cosa ci dice la letteratura sul nostro presente
Il vincitore sarà annunciato il 10 novembre in una cerimonia londinese, ma forse la domanda più interessante non è quale libro trionferà, bensì cosa ci dice questa selezione su ciò che consideriamo letteratura importante oggi. Non più storie di grandi eventi storici o di eroi eccezionali, ma narrazioni intime di crisi personali, di fallimenti domestici, di tentativi disperati di capire chi siamo quando ci guardiamo allo specchio.
La letteratura contemporanea sembra aver rinunciato alle grandi narrazioni collettive per concentrarsi su quella che Roddy Doyle chiama “l’esame dell’individuo che cerca di convivere con gli altri”. È una letteratura che non offre consolazioni facili, che non promette redenzioni o happy ending hollywoodiani. È una letteratura che chiede al lettore di sostare nell’ambiguità, di accettare che alcune domande non hanno risposta, che alcune ferite non si rimarginano mai del tutto.
In un’epoca di polarizzazioni e certezze urlate sui social media, questi sei romanzi propongono qualcosa di sovversivo: la complessità come valore, l’esitazione come forma di onestà intellettuale, il dubbio come unico antidoto al fanatismo. Forse è questo che rende il Booker Prize ancora rilevante nel 2025: la sua capacità di individuare voci che resistono alla semplificazione, che insistono sulla necessità di guardare la vita da angolazioni multiple e spesso contraddittorie.
Quando il vincitore sarà annunciato, non sarà solo un libro a trionfare, ma una particolare visione del mondo, un modo specifico di interrogarsi sul senso dello stare al mondo. E forse, nel silenzio di una sera d’autunno, qualcuno da qualche parte aprirà quel romanzo e ci ritroverà un frammento della propria esistenza, una verità che non sapeva di cercare.

Direttore editoriale di nonewsmagazine.com | Il magazine dell’ozio e della serendipità.
Direttore responsabile di No News | La free press dell’ozio milanese.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare agli amori sofferti tra le campagne inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo, c’è chi lo chiama “il fondamentalista del Loggione”. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita, tuttavia, rimane la Tosca.

































