La neve della Val di Fiemme attende di scrivere nuove pagine epiche. Sulle piste del Tesero Cross-Country Skiing Stadium, dal 7 al 22 febbraio 2026, gli sci stretti torneranno a danzare tra i boschi delle Dolomiti, proprio dove questa disciplina ha costruito la propria leggenda italiana. Lo sci di fondo è arte della resistenza, una sfida contro il tempo e contro sé stessi dove ogni spinta dei bastoncini, ogni scivolata sulla neve, diventa un atto di volontà pura.
In un mondo sempre più veloce, questa disciplina olimpica mantiene intatta la sua essenza primordiale: l’uomo, gli sci e la montagna. Niente motori, niente discese vertiginose. Solo la fatica più autentica, quella che brucia nei polmoni e nelle gambe, quella che trasforma gli atleti in moderne versioni di quegli antichi cacciatori scandinavi che attraversavano foreste innevate per sopravvivere.
Le due anime della disciplina: tecnica classica e pattinato
Lo sci di fondo si esprime attraverso due tecniche distinte, ciascuna con il proprio linguaggio gestuale e la propria filosofia di movimento. La tecnica classica, rimasta immutata fino agli anni Ottanta, ricorda il movimento naturale della camminata: gli sci scorrono paralleli all’interno dei binari tracciati sulla neve, mentre braccia e gambe si alternano in un ritmo ipnotico. La spinta arriva dalla gamba in appoggio e dal braccio opposto che pianta il bastoncino, in una coordinazione che diventa quasi meditativa dopo ore di gara.
Poi, negli anni Settanta, arrivò la rivoluzione. Il finlandese Pauli Siitonen introdusse una nuova modalità di progressione, il cosiddetto “passo pattinato” o skating, che ricorda il movimento del pattinaggio su ghiaccio. Gli sci vengono disposti a V, le punte divergenti, gli spigoli interni fanno presa sulla neve. È una tecnica più veloce dell’8-9% rispetto alla classica, più esplosiva, più moderna. L’atleta non segue più binari prestabiliti ma sceglie la propria traiettoria, scolpendo la neve con movimenti laterali che richiedono forza e coordinazione superiori.
Nelle competizioni olimpiche, le due tecniche si alternano. Gli sci per il pattinato sono più corti e con punte arrotondate, mentre nella classica sono più lunghi e appuntiti per tagliare l’aria in modo più efficiente. I bastoncini? Più alti nel pattinato, più bassi nella classica. Ogni dettaglio conta quando il margine tra vittoria e sconfitta si misura in decimi di secondo.
Il programma olimpico: dodici medaglie da conquistare
A Milano Cortina 2026 le gare di fondo saranno dodici, equamente divise tra uomini e donne. Per la prima volta nella storia olimpica, maschi e femmine si sfideranno sulle stesse distanze, un passo storico verso la parità sportiva. Il programma prevede la skiathlon da 10+10 km, dove gli atleti partono in linea utilizzando prima la tecnica classica e poi, dopo un cambio di equipaggiamento a metà gara, la tecnica libera. Chi taglia per primo il traguardo vince, in una sfida che premia la versatilità oltre alla resistenza.
Ci sarà la sprint in tecnica classica, gara breve e intensa che si sviluppa attraverso batterie di qualificazione, semifinali e finali. E poi la sprint a squadre in tecnica libera, dove due atleti per nazione si passano il testimone per tre volte. Le staffette 4×7,5 km vedranno le prime due frazioni in tecnica classica e le ultime due in tecnica libera. La competizione individuale sui 10 km in tecnica libera sarà un test di pura velocità, mentre la gara regina, la 50 km in tecnica classica con partenza in linea, metterà alla prova la resistenza assoluta degli atleti in quella che viene considerata la maratona della neve.
Ogni gara ha le sue regole precise. Gli sci non possono superare i 2,03 metri di lunghezza, la larghezza deve essere compresa tra 40 e 47 millimetri. Il percorso deve presentare un terzo di salite, un terzo di discese e un terzo di tratti pianeggianti. Se la temperatura scende sotto i -20°C, la giuria può posticipare o annullare la gara. La neve può essere naturale o artificiale, ma il terreno deve offrire la giusta resistenza per permettere le forti spinte senza che bastoncini o sci penetrino troppo in profondità.
Il giorno in cui l’Italia ruppe il monopolio nordico
Era il 7 febbraio 1968 quando un giovane della Val di Fiemme, alto appena 1,68 metri e pesante 64 chili, scrisse una pagina indimenticabile dello sport italiano. Franco Nones, 27 anni, vinse la medaglia d’oro nella 30 km ai Giochi Olimpici di Grenoble, diventando il primo fondista non scandinavo né sovietico a salire sul gradino più alto del podio olimpico. Fino a quel giorno, lo sci di fondo era stato dominio incontrastato di Norvegia, Svezia, Finlandia e Unione Sovietica.
Nones aveva preparato quella vittoria con una dedizione maniacale. Per anni aveva trascorso lunghi periodi in Svezia, allenandosi a Valadalen in un centro del Touring Club locale, 60 chilometri dalla stazione più vicina, per assimilare i segreti dell’habitat naturale dei campioni nordici. Il giorno della gara, con -7 gradi, neve fredda e farinosa, partì con il pettorale numero 26 contro fuoriclasse come il finlandese Eero Mäntyranta, tre volte campione olimpico, e i temibili norvegesi.
Quando tagliò il traguardo per primo, il cronometro segnò una vittoria che valeva molto più di un oro. Era la dimostrazione che anche un atleta del Sud Europa poteva competere con i giganti del Nord. Re Gustavo di Svezia, interrogato anni dopo sui suoi tre miti sportivi, rispose senza esitare: “Ingemar Stenmark per lo sci alpino, Bjorn Borg per il tennis e un italiano, Franco Nones, per lo sci di fondo”. Quella medaglia aprì la strada a generazioni di fondisti italiani e contribuì alla nascita, nel 1971, della Marcialonga di Fiemme e Fassa, oggi seconda granfondo di sci nordico al mondo dopo la leggendaria Vasaloppet svedese.
L’età dell’oro: quando le regine del fondo dominavano il mondo
Se Nones fu il pioniere, furono le donne a costruire l’epopea azzurra del fondo. Stefania Belmondo e Manuela Di Centa sono nomi che ancora oggi fanno vibrare le corde del cuore di ogni appassionato. La Belmondo, piemontese di Pontebernardo, è l’atleta italiana più medagliata di sempre ai Giochi Olimpici invernali: 10 medaglie complessive (2 ori, 3 argenti e 5 bronzi) conquistate tra Albertville 1992, Lillehammer 1994, Nagano 1998 e Salt Lake City 2002.
Il suo primo oro arrivò ad Albertville nella 30 km in tecnica libera. Poi, a Salt Lake City 2002, regalò all’Italia un altro trionfo nella 15 km, vincendo contro la russa Chepalova in una gara che rimase sospesa fino all’ultimo metro. In Coppa del Mondo collezionò 23 vittorie individuali, record assoluto per un fondista italiano. La sua carriera è stata una lunga dichiarazione d’amore alla fatica, alla costanza, alla capacità di reinventarsi anno dopo anno.
Manuela Di Centa, friulana di Paluzza, visse invece il suo momento magico in una sola, indimenticabile edizione: Lillehammer 1994. Conquistò cinque medaglie in cinque gare: oro nei 15 e 30 km in tecnica classica, argento nei 5 km e nell’inseguimento, bronzo nella staffetta. Una performance che solo la russa Ljubov Egorova era riuscita a eguagliare in quella stessa edizione. Manuela sembrava volare sulla neve norvegese, dominando le gare di distanza con una superiorità che lasciava le avversarie a guardare.
A Lillehammer 1994 l’Italia conquistò un totale di 9 medaglie nel fondo, la migliore prestazione di sempre. Oltre alle imprese di Di Centa e Belmondo, ci fu lo storico oro della staffetta maschile 4×10 km con Maurilio De Zolt, Marco Albarello, Giorgio Vanzetta e Silvio Fauner che, davanti a oltre 100mila norvegesi ammutoliti, battè i padroni di casa guidati dal leggendario Bjørn Dæhlie. Un’impresa che ancora oggi fa tremare di emozione.
Torino 2006: l’ultimo trionfo casalingo
L’ultima volta che l’Italia ospitò i Giochi Olimpici invernali, nel 2006, il fondo regalò ancora grandi soddisfazioni. Giorgio Di Centa, fratello di Manuela, vinse l’oro nella 50 km in tecnica libera a Pragelato, in Val Chisone. Fu una vittoria liberatoria, emozionante, che riportò alla memoria il sorriso contagioso della sorella dodici anni prima.
Ma il momento più alto arrivò dalla staffetta 4×10 km. Fulvio Valbusa, Giorgio Di Centa, Pietro Piller Cottrer e Cristian Zorzi schiantarono la resistenza di Germania e Svezia in una gara memorabile. Piller Cottrer conquistò anche un bronzo nell’inseguimento 30 km (15 km tecnica classica + 15 km tecnica libera), perdendo l’oro per soli 9 decimi al fotofinish in uno sprint mozzafiato.
Da allora, però, le medaglie si sono fatte più rare. A Sochi 2014, per la prima volta nella storia recente, l’Italia rimase a bocca asciutta nel fondo. Un segnale d’allarme che spinse la Federazione a ripensare strutture e metodologie di allenamento. A Pechino 2022 arrivò un argento di Federico Pellegrino nella sprint, a confermare che il talento italiano c’è, ma serve un’intera generazione per tornare ai fasti degli anni Novanta.
Il medagliere storico: 36 medaglie di pura determinazione
Nel palmares olimpico dello sci di fondo, l’Italia occupa il sesto posto mondiale con 36 medaglie complessive: 9 ori, 14 argenti e 13 bronzi. Un bottino che rappresenta oltre un quarto dell’intero medagliere azzurro alle Olimpiadi invernali (141 medaglie totali). Davanti a noi ci sono solo i colossi nordici: Norvegia con 129 medaglie (52 ori), Svezia con 84 (32 ori), Finlandia, Russia e Germania.
Sono numeri che raccontano una storia di riscatto e ostinazione. Dal primo oro di Franco Nones nel 1968, passando per le imprese di Belmondo e Di Centa, fino alle staffette leggendarie e ai trionfi casalinghi di Torino 2006, lo sci di fondo italiano ha costruito la propria identità passo dopo passo, chilometro dopo chilometro, spinta dopo spinta.
Tra gli uomini più medagliati spiccano i nomi di Marco Albarello (5 medaglie: 1 oro, 3 argenti, 1 bronzo) e Silvio Fauner (5 medaglie: 1 oro, 2 argenti, 2 bronzi), atleti che hanno scritto pagine indelebili nelle staffette e nelle gare individuali. Gabriella Paruzzi, con le sue 5 medaglie (1 oro e 4 bronzi in staffetta), rappresenta la continuità azzurra dal 1992 al 2006, cinque Olimpiadi consecutive sempre sul podio.
La squadra azzurra verso Milano Cortina 2026: giovani e veterani insieme
La nazionale italiana che si prepara per le Olimpiadi casalinghe è un mix di esperienza e gioventù. Il volto più noto è senza dubbio Federico Pellegrino, il veterano della squadra che a 35 anni si appresta a disputare le sue ultime Olimpiadi proprio sulle nevi di casa. Pellegrino, specialista della sprint, ha conquistato due argenti olimpici (sprint a Pyeongchang 2018 e ai Mondiali di Trondheim 2025) oltre a una Coppa del Mondo generale nel 2016.
“Il mio più grande obiettivo per Milano Cortina 2026 è che l’Italia vinca una medaglia in una gara a squadre”, ha dichiarato Pellegrino. “Sarebbe l’obiettivo di una carriera, perché frutto di un lavoro di quattro anni almeno, nei quali ho cercato di aiutare tutta la squadra e tutto il sistema ad accrescere il proprio livello medio”. Per lui, gareggiare davanti al pubblico italiano, con familiari e amici sugli spalti, rappresenta la ciliegina sulla torta di una carriera straordinaria.
Accanto a lui, la squadra Milano Cortina 2026 comprende 15 atleti divisi tra settore maschile e femminile. Al maschile figurano Giacomo Gabrielli, Giovanni Ticcò, Andrea Zorzi, Lorenzo Romano, Davide Ghio, Aksel Artusi e Davide Negroni. Al femminile la nazionale può contare su Federica Cassol, Virginia Cena, Martina Di Centa (figlia di Giorgio e nipote di Manuela, a portare avanti la dinastia di famiglia), Beatrice Laurent, e le sorelle Marit e Ylvie Folie.
Il direttore tecnico Markus Cramer ha strutturato la preparazione su gruppi di lavoro specifici, cercando di mettere ogni atleta nelle migliori condizioni possibili per rendere al massimo nell’anno olimpico. Gli allenatori Fulvio Scola, Renato Pasini e Giuseppe Cioffi lavorano per costruire una squadra competitiva che possa emozionare il pubblico italiano e conquistare medaglie importanti.
Curiosità e aneddoti che fanno la storia
Lo sci di fondo ha regalato momenti indimenticabili nella storia olimpica. Alle Olimpiadi di Cortina 1956, l’Unione Sovietica fece il suo debutto dominando subito il medagliere con sette ori, tra cui la staffetta maschile che costrinse i paesi nordici alla resa. Nell’hockey su ghiaccio, la squadra sovietica segnò 40 gol subendone solo 9, iniziando un dominio che avrebbe sostituito quello del Canada.
A Innsbruck 1964, la mancanza di neve costrinse l’esercito austriaco a estrarre 20.000 blocchi di ghiaccio dalla montagna e trasferire migliaia di metri cubi di neve sulle piste. La sovietica Klavdija Bojarskich realizzò l’en plein vincendo l’oro in tutte e tre le prove femminili in programma, un’impresa che sarebbe rimasta unica per anni.
La leggenda vuole che Eugenio Monti, il grande bobbista italiano, prestò un bullone all’equipaggio inglese durante le Olimpiadi, permettendo loro di gareggiare. Per questo gesto ricevette la medaglia Pierre de Coubertin, riconoscimento riservato agli atleti che incarnano i valori olimpici oltre la competizione.
La parola “sci” deriva dal norvegese antico “skid”, che significa “lungo pezzo di legno”. Per secoli, nei Paesi del Nord Europa, gli sci furono utilizzati per cacciare, raccogliere legna e mantenere i contatti sociali tra comunità isolate durante gli inverni rigidi. La prima gara documentata risale al 1842 in Norvegia, ma fu la traversata della Groenlandia compiuta da Fridtjof Nansen nel 1888 a portare lo sci di fondo alla ribalta in tutta Europa.
In Italia i primi sci arrivarono nel 1884, portati da Edoardo Mortinari di ritorno da un viaggio in Lapponia. Durante la Prima Guerra Mondiale lo sci si diffuse capillarmente nel Nord Italia con i corpi di soldati sciatori. Nel 1913 venne fondata a Milano la Federazione Italiana dello Sci, gettando le basi per il movimento che avrebbe portato, 55 anni dopo, all’oro di Franco Nones.
L’appuntamento con la storia: febbraio 2026 in Val di Fiemme
La Val di Fiemme ha ospitato i Mondiali di sci nordico nel 1991, 2003 e 2013, oltre ai Mondiali Junior & U23 del 2014. È l’unica località ad essere sempre presente nel calendario del Tour de Ski fin dalla prima edizione del 2006/2007. La leggendaria Final Climb dell’Alpe Cermis è ancora oggi la gara di Coppa del Mondo di sci di fondo più vista in televisione al mondo.
Il Tesero Cross-Country Skiing Stadium è stato rinnovato e reso ancora più impegnativo e spettacolare in vista di Milano Cortina 2026. Nuove zone panoramiche permetteranno al pubblico di vivere la gara da vicino, seguendo gli atleti in ogni fase della competizione. I percorsi si snodano attraverso i boschi, con salite impegnative, discese tecniche e tratti pianeggianti dove la velocità raggiunge picchi incredibili.
Dallo skiathlon del 7 febbraio alla maratona dei 50 km del 22 febbraio, la Val di Fiemme sarà il teatro di sfide epiche. Norvegesi e svedesi arriveranno da favoriti, con Johannes Hoesflot Klaebo (5 ori olimpici) a guidare la pattuglia scandinava. Ma l’Italia ha dimostrato nel corso della storia di saper sorprendere quando meno te lo aspetti, proprio come fece quel piccoletto di 1,68 metri un giorno di febbraio del 1968.
La neve della Val di Fiemme attende. E con essa, la speranza di nuove imprese azzurre, di nuovi eroi capaci di trasformare la fatica in gloria, il dolore in trionfo. Perché lo sci di fondo è questo: una battaglia contro i propri limiti, una danza sulla neve che racconta di uomini e donne capaci di spingersi oltre l’impossibile, un passo alla volta.

Direttore editoriale di nonewsmagazine.com | Il magazine dell’ozio e della serendipità.
Direttore responsabile di No News | La free press dell’ozio milanese.
Viaggiatore iperattivo, tenta sempre di confondersi con la popolazione indigena.
Amante della lettura, legge un po’ di tutto. Dai cupi autori russi, passando per i libertini francesi, attraverso i pessimisti tedeschi, per arrivare agli amori sofferti tra le campagne inglesi. Tra gli scrittori moderni tra i preferiti spiccano Roddy Doyle, Nick Hornby e Francesco Muzzopappa.
Melomane vecchio stampo, c’è chi lo chiama “il fondamentalista del Loggione”. Ama il dramma verdiano così come le atmosfere oniriche di Wagner. L’opera preferita, tuttavia, rimane la Tosca.




































