Sono partita dal centro di Parigi alle prime luci del mattino, insieme a decine di altri giornalisti e addetti ai lavori, per un viaggio che mi ha portato lontano dal caos della Fashion Week. Quasi novanta minuti di trasporto pubblico, un’ora in auto per chi ha optato per soluzioni più comode, ma la destinazione prometteva di valere ogni minuto: il Parc de Saint-Cloud, dove Michael Rider ha scelto di presentare la sua seconda collezione Spring Summer 2026 per Celine.

Quando sono arrivata, ho trovato un teatro di passerella all’aperto eretto in un viale ombroso e ventilato. La brezza muoveva le foglie degli alberi centenari, e ho capito immediatamente perché Rider avesse scelto questo luogo apparentemente scomodo. “Ho pensato che sarebbe stato bello uscire dalla città e andare in un parco, dove credo sia piacevole trascorrere del tempo”, mi ha detto dopo lo show, con quella semplicità disarmante che caratterizza il suo approccio al design.

La continuità come strategia creativa

Seduta in prima fila, circondata da membri di influenti boy band coreane e da volti noti del cinema come Uma Thurman, ho assistito a qualcosa di raro nel panorama delle sfilate contemporanee: un designer che non cerca la rottura a tutti i costi, ma costruisce con pazienza le fondamenta di una nuova identità. Quando gli ho chiesto come avesse approcciato questo secondo sforzo creativo, Rider ha risposto con disarmante onestà: “Non in modo molto diverso dal primo. Stavamo ancora pensando in termini di fondamenta”.

E infatti, Rider ha raddoppiato la sua scommessa su giacche dalla silhouette vagamente a forma di torsolo di mela, jeans skinny, giochi sul tuxedo dressing e significanti preppy come polo e maglie da rugby, quest’ultime oversize e realizzate in seta fluida che si muoveva come acqua sui corpi delle modelle.

L’energia dei dettagli inaspettati

Ma è nei dettagli che ho trovato la vera sorpresa di questa collezione. Vestiti baby-doll vivaci in raffinato bouclé, fantasie floreali psichedeliche che hanno illuminato la passerella con esplosioni di colore, e poi – dettaglio che mi ha fatto sorridere – una serie di caschi da bicicletta con logo. Quando gliel’ho chiesto, Rider ha spiegato: “Quando sono tornato a Parigi, sono stato così felice di vedere che andare in bicicletta era diventata una cosa qui. Tutti i ragazzi alla moda arrivano in studio con i loro caschi agganciati ai gomiti”.

La Celine di Rider soffia via la pesantezza dall’abbigliamento parigino idealizzato con colli simili a sciarpe che scivolano da cappotti e giacche, gioielli vagamente bohémien, scarpe per lo più sensibili e un modo disinvolto di portare borse a mano o un cappotto di pelle gettato sulla spalla. C’è qualcosa di profondamente democratico in questa visione: l’eleganza diventa accessibile, vissuta, vera.

Il menswear che tiene testa alle donne

Una cosa che mi ha colpito particolarmente, e che rappresenta quasi un’anomalia in questa stagione di sfilate miste, è stata la forza del menswear. L’abbigliamento maschile ha tenuto testa al femminile, cosa rara con gli show coed di questa stagione, e sembrava rivolto direttamente agli influenti membri delle boy band coreane seduti in prima fila. Ho visto giacche strutturate che dialogavano con pantaloni ampi, trench coat foderati con motivi a foulard, una mascolinità fluida che non ha paura di abbracciare elementi tradizionalmente femminili.

L’eredità di Celine tra passato e futuro

Osservando la collezione scorrere davanti ai miei occhi, ho percepito chiaramente come Rider avesse stabilito un template promettente e affascinante con il suo debutto, attingendo agli elementi migliori dell’era Hedi Slimane e degli anni di Phoebe Philo, di cui lui stesso aveva fatto parte, per poi aggiungere il suo punto di vista come americano che aveva trascorso gli ultimi otto anni a disegnare per Polo Ralph Lauren.

C’è un equilibrio sottile in quello che fa: non cancella, non stravolge, ma stratifica. Aggiunge la sua sensibilità preppy americana alla raffinatezza francese, il comfort dello sportswear all’eleganza couture, la praticità della bicicletta urbana al lusso delle sete pregiate. È una Celine che respira, che si muove, che vive nelle strade di Parigi tanto quanto nelle pagine patinate.

L’elettricità che cresce

Devo essere onesta: lo show non ha avuto l’elettricità della prima uscita di Rider, ma abbastanza grinta da far capire che aria fresca sta soffiando attraverso la maison. E forse è proprio questo il punto. Non serve fuochi d’artificio quando si sta costruendo qualcosa di duraturo. Quella brezza nel Parc de Saint-Cloud non era solo un elemento scenografico: era la metafora perfetta di un cambiamento che non urla, ma che si fa sentire.

Mentre lasciavo il parco e tornavo verso il caos della città, portavo con me l’immagine di quei caschi da bicicletta, di quelle sciarpe fluide, di quella eleganza rilassata che non cerca di impressionare ma semplicemente di esistere, autenticamente. Michael Rider sta scrivendo un nuovo capitolo per Celine, una pagina alla volta, con la pazienza di chi sa che la vera eleganza non ha fretta.