Seduta in prima fila nel giardino delle Tuileries, sento l’elettricità nell’aria prima ancora che le luci si spengano. Il tendone è affollato di volti noti, da Anya Taylor-Joy a Jennifer Lawrence, da Charlize Theron a Jisoo, tutti qui per assistere a quello che si preannuncia come uno degli eventi più attesi della Paris Fashion Week. Tra il pubblico noto anche Johnny Depp, volto storico della fragranza Sauvage, seduto accanto a Brigitte Macron e Delphine Arnault. L’atmosfera è quasi teatrale, carica di aspettative e domande silenziose: come riscriverà Jonathan Anderson il codice Dior?
Quando la sala piomba nel buio, una piramide invertita si illumina davanti a noi, trasformando lo spazio in una sala cinematografica sospesa nel tempo. Il film inizia e mi ritrovo catapultata in un vortice di immagini: le “donne fiore” di Christian Dior, le linee trapezio di Yves Saint Laurent, i volumi architettonici di Gianfranco Ferré, le creazioni teatrali di John Galliano. Ma non è un semplice omaggio nostalgico. Il documentarista Adam Curtis ha creato un collage psichedelico che intreccia le sfilate storiche della maison con frammenti di B-movie degli anni Sessanta e scene di Hitchcock. Un montaggio ipnotico che culmina in un vortice visivo, come se tutto il passato venisse letteralmente aspirato e sigillato in una scatola d’archivio posta ai piedi dello schermo.
La rinascita attraverso la memoria
Quando le prime modelle emergono da dietro quella scatola d’archivio aperta, sembra di assistere alla materializzazione di ricordi onirici. Il look di apertura è una dichiarazione d’intenti: un abito bianco plissé a forma di lampada che fluttua su strutture invisibili, richiamando la silhouette Cigale del 1952 di Christian Dior, ma reinterpretata con un enorme fiocco che scende dal corpetto all’orlo. È questo il linguaggio di Anderson: rispetto profondo per l’archivio, ma libertà assoluta di reinterpretazione.
Anderson ha descritto la sua visione come un gioco tra “armonia e tensione”, e io lo percepisco in ogni passaggio. Le forme a campana, che lui ama da sempre nelle sue collezioni per Loewe e JW Anderson, diventano il leitmotiv che connette la sua firma personale alla teatralità storica di Dior. Vedo giacche Bar rimpicciolite a proporzioni quasi bambolesche, gonne bubble in pizzo vaporoso e maglia soffice, top in raso plissé con colletti rigidi in pizzo che si aprono sulla schiena creando sculture architettoniche.
Il dialogo tra maschile e femminile
Per la prima volta nella storia della maison, un solo designer dirige sia la divisione maschile che quella femminile, e Anderson vuole che questo dialogo sia evidente. I suoi pantaloncini cargo sculturali da uomo, ispirati alle profonde pieghe dell’abito Delft del 1948, sono rielaborati come minigonne. Le camicie con colletto rigido, i mantelli in maglia e i jeans diventano proposte his-and-hers che invitano a giocare con l’abbigliamento, a superare i confini tradizionali del guardaroba.
Quello che mi colpisce è l’abbondanza di minigonne in denim tagliato, un chiaro segnale verso una clientela più giovane. È un cambio di rotta rispetto all’approccio pragmatico di Maria Grazia Chiuri, una scelta coraggiosa che Anderson stesso definisce come spazio necessario per l’innovazione. Negligé eterei intrappolati in costruzioni a gabbia quadrata, abiti jersey con protuberanze e irregolarità quasi kawakubiane, gonne pouf che sembrano nuvole di tessuto: ogni pezzo è un esperimento, un’idea che prende forma senza la paura di sbagliare.
L’artigianalità che eleva
Nonostante l’audacia concettuale, ogni creazione è profondamente radicata nell’artigianalità del laboratorio couture. Osservo i micro-ricami, le centinaia di festoni sugli abiti Junon in miniatura, le lavorazioni pazienti che richiedono ore di lavoro manuale. I cappelli origami di Stephen Jones, collaboratore storico di Galliano, accompagnano un terzo dei look e incanalano la teatralità delle collezioni degli anni Novanta. Le scarpe con decorazioni floreali a rosetta gigante, le décolleté con dettagli a forma di rosa che sembrano l’evoluzione Dior delle celebri calzature Loewe con tacco a forma di anturio.
La borsa Cigale, ispirata all’omonimo abito d’archivio, attira immediatamente la mia attenzione. È uno di quegli accessori destinati a diventare iconici, se il prezzo sarà giusto. E insieme alla designer Nina Christen, Anderson ha creato calzature per ogni occasione: mocassini cool, mule delicate, ciascuna con un carattere distintivo che parla di versatilità senza rinunciare all’identità forte.
Il verdetto della sala
Quando Anderson esce per l’inchino finale, la sala si alza in una standing ovation. Bernard Arnault, CEO di LVMH, mantiene un’espressione imperscrutabile per tutta la durata dello show, ma l’energia del pubblico è inequivocabile. C’è chi avrà bisogno di tempo per abituarsi a questa nuova estetica Dior, più concettuale e sperimentale, ma io sento che stiamo assistendo a un momento di transizione fondamentale.
Anderson non ha cercato di cancellare il passato, ma di immagazzinarlo per poterlo rivisitare con occhi nuovi. Ha preso un martello alla narrazione precedente del brand, non per distruggerla, ma per liberare spazio creativo. In un momento storico in cui, come dice lui stesso, “è più di moda distruggere la moda che amarla”, questa collezione è un atto di coraggio e di fede nel potere trasformativo del design.
Uscendo dal tendone, mentre il sole parigino filtra tra gli alberi delle Tuileries, rifletto su quello che ho appena visto. Dior è sempre stata una maison capace di bruciare se stessa e reinventarsi, e oggi ho assistito all’inizio di un nuovo capitolo. Un capitolo scritto con forme scultoree, riferimenti storici riletti in chiave contemporanea, e quella dose di audacia necessaria per trasformare il guardaroba in un campo di sperimentazione.

Il mio sport preferito è imbucarmi alle sfilate di moda.
Racconto con passione le tendenze che scandiscono il ritmo del mondo contemporaneo. Attraverso i miei articoli, esploro il connubio tra creatività e innovazione, dando voce a stilisti emergenti e grandi nomi della scena internazionale. Amo analizzare non solo gli abiti e gli accessori, ma anche i contesti culturali e sociali che ne influenzano l’evoluzione. Il mio obiettivo è offrire ai lettori insight esclusivi e storie appassionanti che raccontano il dietro le quinte delle sfilate, le ispirazioni dei designer e le nuove frontiere del design. Con uno sguardo attento e uno stile narrativo coinvolgente, trasformo ogni pezzo in un racconto unico, capace di ispirare e informare chi ama vivere la moda come forma d’arte e espressione personale.




































