Quando sono entrata al Palais d’Iéna, il respiro si è fermato per un istante. Non c’erano le consuete file di sedie dorate, nessuna scenografia da sogno patinato. Davanti a me si dispiegava una mensa aziendale, austera e sorprendentemente autentica. Tavoli Formica in tonalità contrastanti – verdi acidi, gialli senape, blu elettrici – punteggiavano lo spazio ippostilo del palazzo. Tende a strisce in PVC circondavano l’ambiente, quelle che si trovano nei magazzini industriali, nelle celle frigorifere, nei luoghi dove le donne lavorano lontano dai riflettori.

Ci siamo appoggiate ai tavoli invece di sederci, in piedi come durante una pausa caffè rubata tra un turno e l’altro. L’atmosfera era vibrante di un’energia diversa, quasi sovversiva. Miuccia Prada aveva trasformato il tempio della moda parigina in un luogo di lavoro, e io sentivo già che avremmo assistito a qualcosa di profondamente significativo.

Sandra Hüller e l’apertura che toglie il fiato

Le luci si sono abbassate e Sandra Hüller, l’attrice che ci ha fatto trattenere il respiro in “Anatomia di una caduta”, ha aperto la sfilata. Indossava una giacca da operaia in drill industriale, robusta e vissuta, con le mani affondate nelle tasche come per scaldarsi dopo ore trascorse alla catena di montaggio. Non c’era artificio nel suo incedere, nessuna posa studiata. Camminava con la stanchezza reale di chi conosce il peso delle ore in fabbrica, lo sforzo fisico del lavoro manuale.

È stato un momento di verità assoluta. In quella figura ho visto mia nonna che rientrava dalla fabbrica tessile, ho visto le donne delle fotografie di Dorothea Lange durante la Grande Depressione, ho visto secoli di fatica femminile finalmente riconosciuta e valorizzata. Miuccia Prada non stava semplicemente presentando una collezione: stava rendendo omaggio a tutte le donne che lavorano nell’ombra.

Il grembiule come manifesto politico

Poi sono arrivati i grembiuli. Oh, i grembiuli. Non avrei mai immaginato che questo capo così umile, così invisibile, potesse trasformarsi in un potente statement di moda e di significato sociale. Miuccia me lo ha confessato dopo lo show, circondata da giornalisti: “Il grembiule è il mio capo d’abbigliamento preferito in assoluto. Racchiude la vita realmente difficile delle donne nella storia, dalle fabbriche alle case”.

Hanno sfilato grembiuli da cameriera in cotone popeline, quelli delle tavole calde americane anni Cinquanta con le loro fantasie floreali retrò. Grembiuli da governante che raccontavano di domesticità forzata e cure non retribuite. Grembiuli da saldatrice in canvas grezzo, testimoni di quando le donne hanno occupato le fabbriche durante le guerre mondiali. Ogni modello era un capitolo di una storia collettiva, un frammento di memoria generazionale.

La metamorfosi del workwear

Ma Miuccia Prada non sarebbe Miuccia Prada se si fermasse alla documentazione sociale. Progressivamente, i grembiuli hanno iniziato a trasformarsi, ad acquisire una dignità decorativa senza perdere la loro essenza funzionale. Borchie metalliche punteggiavano le bretelle, balze – quel simbolo basilare del femminile – apparivano sui bordi, creando un contrasto stridente e magnifico tra durezza e dolcezza.

Cristalli Swarovski ricamavano superfici di lino grezzo. Grembiuli in pizzo nero diventavano abiti da sera con una semplicità disarmante. Milla Jovovich ha chiuso una sezione centrale indossando un grembiule in pelle con pettorina arricciata, un pezzo che gridava simultaneamente resistenza e seduzione. Ho visto grembiuli sopra bikini, sopra maglioni di lana blu navy, sopra gonne a tubino che evocavano gli anni Cinquanta del dopoguerra.

La bellezza industriale degli accessori

Le scarpe erano robusti stivali da lavoro reinterpretati con la sensibilità Miu Miu. Sandali con suole spesse e fibbie metalliche che parlavano di praticità senza rinunciare all’eleganza. Le borse – oh, le borse – erano strutturate in pellami muscolari, come li ha definiti il comunicato stampa. Materiali che raccontavano di robustezza e utilità, una bellezza industriale che non avevo mai visto celebrata con tale onestà sul podio della moda.

Ogni accessorio rifletteva quella stessa nozione di funzionalità elevata a forma d’arte che permeava l’intera collezione. Non c’era nulla di superfluo, nulla di meramente decorativo nel senso tradizionale. Tutto serviva, tutto aveva uno scopo, tutto raccontava di vite vissute nel lavoro.

La lezione di Miuccia nel panorama della moda

Miu Miu è ancora il brand più desiderato al mondo, con ricavi cresciuti del 49 percento nella prima metà dell’anno, salda al primo posto nella classifica Lyst. È il marchio che ha lanciato il trend dei crop top che ha dominato la stagione. Proprio per questo, l’inversione di rotta di Miuccia Prada è ancora più significativa: in un momento di massimo successo commerciale, ha scelto di guardare altrove, di parlare delle cameriere, delle operaie, delle donne che puliscono.

“Nella moda parliamo sempre di glamour e persone ricche”, mi ha detto con quella sua franchezza disarmante, “ma dobbiamo riconoscere che la vita è molto diversa”. Ha studiato le fotografie documentarie di Dorothea Lange e Helga Paris, ha guardato al film di Louis Malle “Humain, trop Humain”, girato nella fabbrica Citroën di Rennes negli anni Settanta. Ha cercato di tradurre quella realtà in moda, ammettendo che è stato difficile. “Ma uso lo strumento che ho”, ha detto con una scrollata di spalle.

L’energia del backstage e la risposta della moda

Dietro le quinte, l’energia era elettrizzante. Gli ospiti VIP si fotografavano a vicenda indossando i look che Prada aveva creato per l’autunno, completi con reggiseni a proiettile e gonne a tubino, revival di femminilità anni Cinquanta reinterpretata. La stylist Lotta Volkova aveva orchestrato una stratificazione che richiamava il multilayer Miu Miu degli anni 2010, amato dai fan più devoti del brand.

Uscendo dalla sfilata, mi sono ritrovata a riflettere su quanto questo show fosse necessario. In un’era in cui il lavoro delle donne rimane spesso invisibile – dalle cure domestiche non retribuite ai salari più bassi nelle fabbriche, dalla disparità salariale al soffitto di cristallo – Miuccia Prada ha scelto di mettere sotto il microscopio il workwear femminile, di renderlo visibile, bello, desiderabile.

Sarà interessante vedere quanti designer seguiranno questa strada per l’autunno 2026, quante ospiti alle prossime sfilate indosseranno quei grembiuli trasformati in statement pieces. Ma una cosa è certa: Miu Miu Spring Summer 2026 non è stata solo una collezione di moda. È stata una dichiarazione politica vestita di drill industriale e pizzo, un riconoscimento tardivo ma potente del lavoro femminile in tutte le sue forme.

Mentre lasciavo il Palais d’Iéna, ho guardato indietro verso quei tavoli Formica, quelle tende in PVC. Per quaranta minuti, quel palazzo storico era diventato un luogo di lavoro, e noi spettatrici eravamo state costrette a vedere ciò che di solito ignoriamo. Grazie, Miuccia, per averci ricordato che la moda può ancora essere uno strumento di consapevolezza sociale, senza mai smettere di essere straordinariamente bella.