La prima volta che vidi l’aurora boreale, ero fermo su una strada ghiacciata a pochi chilometri da Tromsø, in Norvegia. Erano le undici di sera di un gelido febbraio, e il termometro segnava meno ventidue gradi. Avevo spento i fari dell’auto noleggiata e mi ero allontanata di qualche metro dall’asfalto innevato, cercando l’oscurità totale che mi era stata consigliata da tutti. Il silenzio artico mi avvolgeva come una coperta pesante, interrotto solo dal mio respiro che si condensava in nuvole bianche. Poi, senza preavviso, il cielo si è squarciato. Non c’è altro modo per descriverlo: una tenda verde fosforescente ha iniziato a dispiegarsi sopra la mia testa, ondeggiando come se qualcuno, da qualche parte nell’universo, stesse scuotendo un lenzuolo cosmico. I miei occhi si sono riempiti di lacrime, e non era per il freddo pungente.
Questo è ciò che l’aurora boreale fa alle persone: ti riduce al silenzio, ti rende piccola davanti a una forza che non puoi controllare né prevedere. Ogni inverno, migliaia di viaggiatori come me partono verso le regioni artiche, inseguendo questo fenomeno luminoso che per secoli ha alimentato miti, leggende e la curiosità scientifica dell’umanità. Dai fiordi norvegesi alle distese lapponi, dalle isole Lofoten ai boschi finlandesi, il Grande Nord diventa un teatro naturale dove si consuma lo spettacolo più antico del mondo.
Quando la scienza incontra la magia
Mi ci è voluto del tempo per comprendere veramente cosa stavo osservando. L’aurora boreale, o aurora polaris come viene chiamata scientificamente, è il risultato di una collisione cosmica tra particelle cariche provenienti dal Sole e i gas presenti nell’atmosfera terrestre. Quando il vento solare – quel flusso incessante di particelle elettricamente cariche espulse dalla corona del Sole – raggiunge la Terra, viene deviato dal campo magnetico terrestre verso i poli. Qui, a un’altitudine che varia tra gli ottanta e i seicento chilometri, queste particelle energetiche si scontrano con atomi di ossigeno e azoto, eccitandoli. Quando questi atomi tornano al loro stato normale, rilasciano energia sotto forma di luce: ed ecco che il cielo si illumina.
Il verde brillante, il colore più comune delle aurore, è prodotto dall’ossigeno a circa cento-duecento chilometri di altitudine. Quando l’ossigeno si trova più in alto, oltre i trecento chilometri, la luce diventa rossa, anche se questo colore è raro e difficile da percepire a occhio nudo. L’azoto, invece, regala tonalità blu e viola, creando quelle sfumature che rendono ogni aurora unica e irripetibile. Durante il mio viaggio ho imparato che non esistono due aurore identiche: ogni danza di luci è un evento singolare, determinato dall’intensità del vento solare, dalla composizione atmosferica e dalla posizione dell’osservatore.
Gli scienziati misurano l’attività aurorale attraverso l’indice Kp, una scala che va da zero a nove. Un Kp di tre o superiore è generalmente considerato sufficiente per osservare le aurore nelle regioni artiche, mentre valori più alti permettono avvistamenti a latitudini più basse. Ho imparato a consultare ossessivamente le previsioni aurora, studiando le tempeste geomagnetiche e pianificando le mie uscite notturne in base a questi dati. Ma nessun numero, nessuna previsione può preparati al momento esatto in cui quella luce inizia a muoversi sopra di te.
Tra miti vichinghi e leggende lapponi
Molto prima che la scienza spiegasse l’aurora, i popoli del Nord avevano creato le loro narrazioni per dare senso a questo fenomeno. Seduta in un caffè di Rovaniemi, in Finlandia, ho ascoltato un anziano Sami raccontare la leggenda del revontulet, le “volpi di fuoco”. Secondo questa antica credenza, le aurore nascevano quando una volpe artica correva attraverso la tundra innevata, colpendo con la sua coda i cristalli di ghiaccio e sollevando scintille luminose verso il cielo. Il nome finlandese dell’aurora, revontulet, deriva proprio da questa storia, e quando l’uomo me l’ha raccontata con gli occhi che brillavano, ho sentito quanto fosse ancora viva quella connessione ancestrale con il fenomeno.
I Vichinghi avevano una visione completamente diversa. Per loro, le aurore erano il riflesso delle armature e degli scudi delle Valchirie, le guerriere divine che cavalcavano attraverso il cielo per raccogliere le anime dei caduti in battaglia e condurle al Valhalla. Questa interpretazione marziale rifletteva la loro cultura guerriera e la credenza in un aldilà eroico. Alcuni vedevano nelle luci danzanti un ponte, il Bifröst, che collegava il mondo dei mortali a quello degli dei.
I popoli Sami, custodi di una delle culture più antiche d’Europa, avevano un rapporto più ambivalente con l’aurora. Molti credevano che le luci fossero manifestazioni degli spiriti dei defunti, e che disturbarle o prenderle in giro potesse attirare sventure. Mi è stato raccontato che i bambini venivano ammoniti a non fischiare o cantare sotto le aurore, per paura che i “luci del nord” scendessero e li portassero via. Questa reverenza mista a timore si è tramandata attraverso le generazioni, creando un rapporto complesso e profondo con il fenomeno che ancora oggi caratterizza la cultura indigena artica.
La caccia all’aurora nelle notti lapponi
Il mio viaggio nella Lapponia finlandese è iniziato a Inari, un piccolo villaggio situato oltre il Circolo Polare Artico. Qui, durante il kaamos – il periodo di oscurità polare che dura da novembre a gennaio – il sole non sorge mai completamente sopra l’orizzonte, creando una penombra crepuscolare che dura poche ore al giorno. È in questa oscurità prolungata che le aurore possono apparire anche nel primo pomeriggio, se le condizioni sono favorevoli.
Ho alloggiato in un igloo di vetro, una delle strutture termiche che permettono di osservare il cielo stando al caldo. La prima notte è stata nuvolosa, e ho passato ore con il naso incollato alla cupola trasparente, scrutando ogni schiarimento tra le nubi. La frustrazione del cacciatore di aurore è reale: puoi pianificare tutto perfettamente, studiare le previsioni, raggiungere i luoghi migliori, ma se il cielo è coperto, non vedrai nulla. Ho imparato sulla mia pelle che l’attesa fa parte dell’esperienza tanto quanto l’avvistamento stesso.
La seconda notte, verso le dieci, le nubi si sono aperte. Ho indossato strati su strati di abbigliamento termico, preso la mia macchina fotografica e sono uscita nel gelo. La temperatura era scesa a meno trenta gradi, e ogni respiro mi bruciava nei polmoni. Ma quando la prima striscia verde ha iniziato a materializzarsi sull’orizzonte settentrionale, ogni disagio è svanito. L’aurora si muoveva lentamente all’inizio, come un nastro che si srotolava nel cielo. Poi, improvvisamente, si è intensificata. Onde di luce hanno iniziato a danzare sopra di me, cambiando forma ogni secondo: colonne verticali che salivano dalla terra verso l’infinito, archi che si estendevano da est a ovest, raggi pulsanti che sembravano respirare. Ho smesso di fotografare e ho semplicemente guardato, cercando di imprimere nella memoria ogni sfumatura, ogni movimento.
In Lapponia ho scoperto anche la pratica della fotografia aurorale, un’arte che richiede pazienza e preparazione tecnica. Con un tempo di esposizione di pochi secondi, la fotocamera cattura colori che l’occhio umano fatica a percepire pienamente. Il sensore digitale rivela rossi profondi, viola intensi, verdi brillanti che nell’osservazione diretta appaiono più tenui. Questo ha creato in me una tensione interessante: vedere l’aurora con i miei occhi o attraverso l’obiettivo? Ho scelto un compromesso, scattando alcune foto e poi dedicando la maggior parte del tempo all’osservazione pura.
I fiordi norvegesi e il teatro delle Lofoten
Da Inari mi sono spostata verso ovest, attraversando il confine norvegese fino a raggiungere Tromsø, la capitale artica della Norvegia. Questa città di settantamila abitanti, situata a circa trecentocinquanta chilometri sopra il Circolo Polare Artico, è uno dei centri principali per la ricerca aurorale e un punto di partenza per innumerevoli escursioni notturne. Qui si trova il Tromsø Geophysical Observatory, dove scienziati studiano il fenomeno da oltre un secolo.
Ma la mia vera meta erano le isole Lofoten, e in particolare il villaggio di Andenes, spesso citato come uno dei luoghi migliori al mondo per l’osservazione delle aurore. Il viaggio verso Andenes è stato esso stesso un’avventura: ho percorso strade costiere che si snodavano tra montagne frastagliate che emergevano dal mare, attraversato ponti sospesi sul nulla e navigato su piccoli traghetti tra fiordi ghiacciati. Il paesaggio delle Lofoten in inverno è drammatico e primordiale: picchi montuosi coperti di neve che si gettano direttamente nell’oceano Atlantico, spiagge di sabbia bianca battute dalle onde, villaggi di pescatori con le loro tipiche rorbuer, le casette rosse su palafitte che punteggiano le coste.
Ad Andenes, la posizione geografica crea condizioni ottimali per l’osservazione. Il villaggio si trova all’estremità settentrionale dell’arcipelago, proteso nell’oceano, lontano da qualsiasi fonte di inquinamento luminoso. Qui l’oscurità è assoluta, e quando il cielo è sereno, le stelle brillano con un’intensità che mai avevo visto prima. La prima sera sono salita su una piccola collina che sovrasta il porto, accompagnata da una guida locale che conosce ogni angolo dell’isola. Mentre aspettavamo, mi ha raccontato di notti in cui l’aurora era talmente intensa da illuminare il paesaggio come se fosse giorno, proiettando ombre sulla neve. Mi parlava di colori che aveva visto solo una manciata di volte in vent’anni di osservazioni, di tempeste geomagnetiche così violente da disturbare le comunicazioni radio e i sistemi GPS.
Quella notte, intorno a mezzanotte, abbiamo assistito a quello che la guida ha definito un “breakup aurorale”, il momento in cui un’aurora tranquilla esplode improvvisamente in un display frenetico di luce e movimento. Il cielo si è letteralmente acceso: raggi verdi e viola salivano e scendevano in frazioni di secondo, creando quella che viene chiamata una “corona aurorale” quando i raggi sembrano convergere in un punto direttamente sopra l’osservatore, come se fossi al centro di un’immensa cattedrale luminosa. La sensazione era quasi vertiginosa: dovevo ricordarmi di respirare, talmente ero ipnotizzata da quello che stavo vedendo. Durò forse dieci minuti, poi l’attività diminuì gradualmente, lasciando solo deboli archi verdi all’orizzonte. Ma quei dieci minuti valsero l’intero viaggio.
Il silenzio bianco della tundra svedese
L’ultima tappa del mio viaggio è stata la Lapponia svedese, nella regione di Abisko, famosa per la cosiddetta “blue hole of Abisko“, un fenomeno microclimatico che garantisce cieli sereni anche quando le aree circostanti sono coperte dalle nubi. Il Parco Nazionale di Abisko si estende lungo la valle del fiume Abiskojokka, circondato da montagne che creano una barriera naturale contro i sistemi nuvolosi provenienti dall’Atlantico.
Ho soggiornato alla Aurora Sky Station, una stazione di osservazione raggiungibile solo tramite una seggiovia che sale fino a novecento metri di altitudine. Lassù, lontana da qualsiasi insediamento umano, ho sperimentato un livello di silenzio che non credevo possibile. Non c’era vento, non c’erano rumori meccanici, solo l’occasionale scricchiolio della neve sotto gli scarponi. In quel silenzio assoluto, anche il frusciare della mia giacca termica sembrava assordante.
La temperatura a quella quota oscillava intorno ai meno trentacinque gradi, e nonostante i vestiti tecnici, il freddo penetrava lentamente attraverso ogni strato. Ma quando l’aurora apparve, dimenticai tutto. Quella notte assistei a un fenomeno particolare: aurore rosse. Sono molto più rare delle verdi e si verificano a altitudini superiori, oltre i trecento chilometri. Il cielo sopra di me si tinse di un rosso profondo, quasi marziano, che contrastava con il verde smeraldo più vicino all’orizzonte. Era come osservare due mondi diversi che coesistevano nello stesso spazio celeste.
Un ricercatore presente alla stazione mi spiegò che stavamo assistendo agli effetti di una tempesta geomagnetica di classe G3, abbastanza potente da causare disturbi nei sistemi elettrici e nelle comunicazioni satellitari. In quel momento, mentre guardavo il cielo infuocato sopra le montagne innevate, ho compreso davvero la potenza del Sole e la fragilità della nostra piccola bolla protettiva magnetica. L’aurora non è solo uno spettacolo turistico: è la manifestazione visibile di forze cosmiche immense che interagiscono continuamente con il nostro pianeta, anche quando non possiamo vederle.
Consigli pratici per i cacciatori di luci
Organizzare un viaggio per vedere l’aurora boreale richiede pianificazione e flessibilità. Il periodo migliore va da settembre a marzo, con un picco di attività intorno agli equinozi. I mesi centrali dell’inverno offrono notti più lunghe e più opportunità di osservazione, ma anche temperature più rigide. La scelta della destinazione dipende da vari fattori: la Norvegia offre paesaggi costieri drammatici e infrastrutture turistiche sviluppate; la Finlandia combina aurore con esperienze culturali Sami e una tradizione di igloo di vetro; la Svezia vanta la blue hole di Abisko; l’Islanda permette di unire l’osservazione aurorale con geyser e cascate; la Scozia settentrionale, nelle isole Shetland e Orcadi, offre occasionali avvistamenti a latitudini più accessibili.
L’equipaggiamento è cruciale. Temperature che possono scendere sotto i meno quaranta gradi richiedono abbigliamento tecnico a strati: intimo termico, strato isolante in pile o piuma, giacca antivento e impermeabile. Fondamentali sono guanti pesanti, berretto che copra le orecchie, scaldacollo e calzature invernali con suole adatte al ghiaccio. Per la fotografia: un treppiede stabile, batterie di riserva (il freddo le scarica rapidamente), e la conoscenza dei parametri base per fotografare in notturna. Ma il mio consiglio principale è di non passare tutta la notte dietro la macchina fotografica: dedicate tempo all’osservazione diretta, perché nessuna foto può restituire l’emozione di vedere l’aurora muoversi sopra di voi.
La pazienza è forse la qualità più importante. Potrebbero volerci diverse notti prima di vedere qualcosa di significativo. Il cielo può essere coperto, l’attività solare può essere bassa, le previsioni possono rivelarsi sbagliate. Ma quando finalmente vedrete quella prima striscia verde apparire all’orizzonte, capirete che ogni ora passata al freddo, ogni notte insonne, ogni frustrazione è valsa la pena. Perché l’aurora boreale non è solo un fenomeno naturale: è un’esperienza che cambia il modo in cui guardate l’universo e il vostro posto in esso.

Appassionato di scoperta e avventura, racconto i sentieri meno battuti del mondo, dove la natura e le tradizioni si svelano in modo autentico e sorprendente. Amo esplorare percorsi nascosti, lontani dalle rotte turistiche, per cogliere l’essenza vera di ogni luogo e condividere storie di paesaggi incontaminati, culture sconosciute e incontri autentici. Con uno stile narrativo coinvolgente, porto i lettori in un viaggio intimo e ricco di emozioni, dove il silenzio dei sentieri permette di riscoprire sé stessi e il mondo che ci circonda. Per me, ogni cammino è un’esperienza di scoperta, un invito a svelare le meraviglie sconosciute e a vivere avventure uniche, lontano dal caos e vicino alla natura.




































